Copia carbone criminale / 14 Dicembre 2020 in Welcome to Collinwood

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non so come e perché ai Fratelli Russo e a Steven Soderbergh (che ha co-prodotto il film) sia venuto in mente di rifare, praticamente pari pari, I soliti ignoti di Monicelli in una maniera così scombinata. Non è il fatto di aver voluto mettere mano a un film tanto importante a turbarmi, quanto l’incredibile resa.

Perché questo pasticciaccio dimostra che, nel gruppo di registi, produttori e sceneggiatori, nessuno sembra aver capito niente ma proprio niente di quel film, né il suo spirito comico, né quello drammatico e neppure la sua collocazione in un preciso contesto storico e sociale. Gli dò il beneficio del dubbio, perché a volerla fare intenzionalmente, una cosa del genere, è da veri criminali (del cinema) e mi stupisce che Soderbergh, che tanto apprezzo e di cui conosco l’amore per il cinema italiano, abbia messo il piede così in fallo.
Se il remake non fosse stato tanto pedissequo, probabilmente, avrei soprasseduto e sarei stata meno severa nel mio (opinabile) giudizio. Ma qui c’è una chiara intenzione: prendere una sceneggiatura in se assolutamente completa, eradicarla da una precisa cornice e riproporla cambiandone la filosofia di fondo, pur mantenendone l’aspetto.

Non è la prima volta che I soliti ignoti funge da spunto per altri film: ho visto Criminali da strapazzo di Woody Allen (2000), mi manca Crackers (1984) di Louis Malle e il mio compagno di divano mi ha citato anche Palookaville (1995) di Alan Taylor, che non ho ancora visto.
Però, ai Russo non è bastata la sola citazione: purtroppo, a fronte di un super cast di (altrove) ottimi attori statunitensi, Welcome to Collinwood è una (brutta) copia che, inutilmente, riprende perfino nomi (quello di Cosimo sulla faccia di Luis Guzmán sta come i cavoli a merenda), professioni, battute e in-quah-drà-tu-reh del film italiano (vedi, l’investimento di Cosimo, ripreso dall’abitacolo del bus), ottenendo un risultato davvero mediocre, in cui gli interpreti sono sacrificati in ruoli decisamente mal sbozzati.
A nulla, se non a rimarcare la precisione svizzera del lavoro di Mario Monicelli, Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli, valgono le piccole differenze inserite nella sceneggiatura: la presenza del poliziotto che potrebbe braccare il gruppo, l’evasione di Cosimo (invece dell’indulto), il fatto che inizialmente l’appartamento accanto al banco dei pegni sia davvero sfitto e un finale completamente snaturato, in cui il leggero disincanto della banda del buco riesce a tingersi di inutile moralismo.
Quando ho visto George Clooney (che apprezzo al pari di Soderbergh) nel ruolo che è stato di Totò e ho assistito al massacro della scena del tetto, la desolazione ha preso il definitivo sopravvento.

In definitiva, il voto è dovuto solo al soggetto originale e alla presenza di Paolo Conte nella colonna sonora (pure quella è una copia carbone, con i brani jazz e swing che dovrebbero ricordare il celebre tema di Piero Umiliani).

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