Un diverso sguardo sul conflitto afgano / 11 Giugno 2017 in War Machine

Sullo sfondo del conflitto afgano David Michôd imposta nei toni sfumati della commedia e del dramma un’aspra critica nei confronti delle politiche estere americane, in particolare per quelle che spesso assumono il nome di “missioni di pace”. Giocando con i generi e con i toni in maniera sorprendente, il regista confeziona un lavoro in cui si ride, ci si indigna o si rimane in suspance repentinamente, delle volte riuscendo a far sovrapporre gli stati d’animo, e lo fa affrontando un tema decisamente poco incline a questa malleabilità. Il fulcro di tale operazione è senza dubbio un Brad Pitt (anche produttore) protagonista dall’interpretazione monolitica, dove per questa si intende un parco espressioni macchiettistico, caratteristico (quindi decisamente ben riconoscibile) e sempre uguale nell’arco dei 122 minuti. Non di meno questa interpretazione lascia intuire le strutture caratteriali militaresche (quindi in questo caso anche patologiche) che assediano la psiche del generale McMahon. La sua proverbiale sicurezza è ciò che lo rende paradossale, come paradossali sono le “missioni di pace”, le “medaglie per atti non eroici” o i campi di coltivazione di oppiacei per il divieto di produzione di cotone che limiterebbe l’esportazione americana. Tutto questo è l’immensa contraddizione che lega il protagonista all’America esportatrice di democrazia, una volta tanto criticata internamente alla sua filosofia d’azione invece che appoggiandosi ai noti scempi economici di carattere colonialistico. Tutta la seconda parte è un tentativo di comprensione a cui il generale è sottoposto e che, nonostante i suoi paraocchi, riuscirà ad incrinare alcune certezze mutando il film da critica a riflessione. Ma in questo la scena finale sarà devastante: Russel Crowe in un fantastico cameo chiuderà le danze in maniera spettacolare.

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