Recensione su Wall Street

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13 Marzo 2015

Oliver Stone denuncia il cinismo (che a tratti sfocia in criminalità vera e propria) degli affaristi di Wall Street, proponendo contemporaneamente un affresco degli yuppie anni ’80, con tanto di partite di squash, cestino delle cartacce con annesso canestro da basket, abiti maschili che passano per stracci se non sono costati almeno un migliaio di dollari.
C’è molto di reale in quanto viene descritto in questa pellicola, che potrebbe essere visionata come appendice cinematografica dei corsi di criminologia, che sempre più studiano quel ramo della scienza delittuosa (troppo spesso impunito o tollerato, almeno in Italia) che va sotto l’etichetta di “crimine dei colletti bianchi”.
Il risultato paradossale che ha avuto questo film, che avrebbe ovviamente dovuto essere di mera denuncia, è stato quello di creare un personaggio, il Gordon Gekko di un ottimo Michael Douglas (che per questo ruolo si aggiudicò l’oscar), che anziché suscitare biasimo e sdegno è stato idolatrato e preso a modello da generazioni di arrivisti e carrieristi che, ancora oggi, attingono a piene mani dal suo cinico e inquietante frasario da economista-sciacallo.
“Il pranzo è per chi non ha niente da fare”, traduzione di un più pungente “Lunch is for wimps”, è una frase che mi è capitato personalmente di sentire dal capetto di turno, uno di quelli che lavora 16 ore al giorno weekend inclusi.
La regia di Stone è a tratti interessante. Due scene rimangono particolarmente impresse: quella dell’arresto di Bud, che sfila in lacrime davanti ai suoi colleghi, e quella, nel finale, in cui Bud e suo padre discutono animatamente in ascensore, con la macchina da presa che si muove vertiginosamente spostandosi tra i due.
Padre e figlio sono interpretati, rispettivamente, da Martin e Charlie Sheen, che hanno lo stesso ruolo anche nella vita reale. Più efficace Martin, meno Charlie, che non convince assolutamente nel ruolo del broker rampante.

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