Recensione su Wall Street - Il Denaro Non Dorme Mai

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14 Marzo 2015

Oliver Stone attinge alla crisi finanziaria del 2008 come pretesto per proporre un sequel del suo Wall Street, come a dire che vent’anni dopo le cose non soltanto non sono cambiate, ma sono addirittura peggiorate.
Torna Gordon Gekko, dopo aver scontato otto anni di carcere (mentre, a suo dire, gli assassini ne farebbero soltanto cinque, peccato però che questa battuta varrebbe solo nel nostro Paese, visto che laggiù gli assassini li mandano solitamente nel braccio della morte).
Torna per avvertire il mondo dell’imminente implosione del sistema finanziario (e francamente la scena in cui l’ex squalo di Wall Street tiene una lectio magistralis in università è un po’ troppo per i palati della gente per bene, ma poi vedi Schettino che in Italia fa la stessa cosa e pensi che Stone sta soltanto scimmiottando la realtà).
Torna per asserire che in confronto ai finanzieri di oggi lui era soltanto un dilettante, salvo risalire la china, a modo suo, ancora una volta (il lupo perde il pelo ma non il vizio).
Nella storia del ritorno di Gekko e della crisi dei subprime (trattata con piglio complottistico alla JFK), il regista infila anche la storia d’amore tra la figlia di Gekko e una nuova leva di Wall Steet, che ha la faccia e i modi del ragazzo per bene, ma il subdolo scintillio degli occhi che provoca l’avidità di denaro (nascosto dietro poco credibili idee ecologiste).
Per il resto Stone attinge alle cronache finanziarie del post 2008, con il banale repertorio dei paragoni con il 1929 e della previsione sui caratteri della nuova bolla, che ancor prima di scoppiare si sa già quanto meno quale colore avrà: verde.
In mezzo qualche spunto di storia della finanza che gli addetti ai lavori ben conoscono (la bolla dei tulipani, che fu la prima in assoluto, anche se il film inizia con l’interessante riferimento all’esplosione cambriana, la prima vera bolla biologica che ha interessato il pianeta, con lo sviluppo repentino della complessità animale).
Interessante, infine, il modo in cui il regista, con riferimenti visivi nemmeno troppo velati, accosti i banchieri ai gangster mafiosi, con scene che evocano la trilogia de Il padrino.
In particolare, in tal senso, spicca la figura (e i gesti) del banchiere interpretato da un novantacinquenne Eli Wallach (che fu il don Altobello de “Il Padrino – parte III” e il brutto de “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone, film quest’ultimo che viene citato anche per il tramite della suoneria del cellulare di Jacob, con le immortali note di Morricone).
Ultimo appunto sugli interpreti: sono passati oltre vent’anni per Michael Douglas (e si vede), ma tutto sommato non sfigura (anche se il Gekko degli anni Ottanta era altra cosa); quanto al giovane di turno, Shia LaBeouf si conferma, sull’ala del suo predecessore Charlie Sheen (che appare in uno stucchevole e forse non necessario cameo), il tizio sbagliato al posto sbagliato (se non per i tratti ebraici che contribuiscono tuttavia a fomentare per l’ennesima volta i soliti luoghi comuni).

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