Recensione su Victoria

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Ombre e mosche / 11 Febbraio 2018 in Victoria

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Victoria è un film costituito da un un unico piano-sequenza (vero, però, e non gradevolmente farlocco come quello di Birdman o di Nodo alla gola) lungo due ore e venti minuti che è stato capace di farmi restare con il fiato sospeso dall’inizio alla fine, senza farmi pesare assolutamente il minutaggio non indifferente del film.

Al di là del virtuosismo tecnico che costituisce l’elemento più evidente e stupefacente del lungometraggio di Schipper (Orso d’Argento in Berlinale), Victoria è un interessante dramma romantico, notturno e metropolitano, che affronta temi come la solitudine dell’individuo tra la folla e la violenza incondizionata che cancella ogni inibizione.

In particolare, mi è piaciuto molto il modo in cui è stato affrontato il tema della mancanza di identità. Victoria è stata giudicata una pianista come tante, è una ragazza come mille altre a Berlino, alcuno sa chi sia, da dove venga esattamente, e nessuno può ricondurla all’atto criminale a cui ha preso parte.

Victoria è pura evanescenza: Peter Pan ha perduto la sua ombra, anche lei sembra aver smarrito la sua umanità/identità, il suo equilibrio. Li ritroverà mai? Nel giro di un paio d’ore, le sono accadute cose al limite dell’immaginazione.
La camera la segue come un’ombra (appunto), come una mosca curiosa, fin dal primo secondo del film: si apre improvvisamente come un occhio sulla vicenda e segue incessantemente la ragazza, sempre e solo lei, fino a che Victoria, come un non-morto, decide di perdersi nelle strade di Berlino, senza fornire alcun indizio sulle proprie intenzioni.
Così come aveva iniziato a seguirla senza una giustificazione precisa, la macchina da presa la abbandona, staccandosi da lei in maniera quasi desolata.

Ho letto in giro che, per certi versi il film di Schipper è stato associato a Fino all’ultimo respiro di Godard. Sono decisamente d’accordo con questo accostamento, perché ho trovato alcune somiglianze sia nella caratterizzazione dei personaggi principali, Victoria e Sonne, che ricordano quelli della Seberg (una straniera in una città straniera) e di Belmondo (uno scavezzacollo facile da amare), che nella vicenda in sé, segnata da una fuga potenzialmente infinita e altrettanto priva di soluzione.

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