Parlare di omosessualità nella Gran Bretagna omofoba del Novecento / 23 Giugno 2022 in Victim

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Dietro la facciata del film di genere thriller, il prolifico regista britannico Basil Dearden ha costruito un film di denuncia sociale estremamente progressista per l’epoca in cui è stato girato. Victim, infatti, distribuito in Gran Bretagna nel 1961, parla in maniera esplicita di omosessualità maschile, in un Paese che, mentre il film veniva realizzato, prevedeva ancora il carcere e l’assoluto stigma sociale per chi veniva scoperto a essere queer (invertito/diverso, come viene detto nel corso della storia).

Per buona parte della prima metà del lungometraggio, lo spettatore ignora i motivi per cui il giovane Jack Barrett (Peter McEnery) stia fuggendo e, poi, decida di uccidersi, e non ha un’idea precisa del rapporto che lo lega al rinomato avvocato londinese Melville Farr (Dirk Bogarde).
Fino a quel punto, complice la statuaria fotografia in bianco e nero di Otto Heller e la solida scrittura di Janet Green e John McCormick, il film è un puro mistery pieno di fascino.

Appurati i motivi che hanno spinto Barrett al suicidio (pur di non compromettere Farr, il ragazzo opta per la propria eliminazione fisica), la critica sociale prende il sopravvento e, anche conservando qualche interessante chiaroscuro nella definizione dei personaggi, sovraccarica di connotati positivi o negativi (a seconda della bisogna) i personaggi in scena.
In sostanza, il film si fa paradigma del conflitto sociale in seno al Paese che, proprio in quegli anni, stava considerando la depenalizzazione del reato di omosessualità.

Il personaggio di Bogarde è un inflessibile paladino della giustizia che, in nome dell’equità e corroso dal rimorso, decide di mettere a repentaglio carriera, famiglia e “nome”, in una cieca ma consapevole discesa verso l’esilio sociale.
Farr vive contronatura (da anni, tenta di reprimere i suoi naturali impulsi sessuali e, per questo, ha anche accettato di sposarsi), muovendosi in una gabbia serrata da rigide convenzioni e moralismi.
Gli omosessuali uomini ritratti nel film sono creature braccate, costrette a temere la propria ombra (e, in questo senso, il film rasenta l’horror più limpido).
A completare il microcosmo del film, ci sono gli eteronormati che accettano o tollerano (con -a tratti- troppo bonaria pietas) la presenza degli omosessuali nella comunità e, infine, gli omofobi, che considerano gli omosessuali come malati da emarginare, forse curare (come è accaduto anche al celebre matematico britannico Alan Turing, per esempio, finito suicida nel ’54) e, sicuramente, punire, in molti modi. In questa schiera, ovviamente, non mancano coloro che condannano l’omosessualità perché sono anch’essi gay, ma lo nascondono (vedi, il ricattatore Sandy – il repulsivo Derren Nesbitt- a cui Dearden riserva alcuni interessanti dettagli di colore – vedi, la riproduzione del David di Michelangelo su cui insiste la camera- per sottintendere l’ambiguità sessuale del personaggio).

Nel complesso, vista la sua capacità di sviscerare l’argomento -per quanto possibile, visti i tempi-, Victim è un film precursore del cinema sociale di là a venire: non è un film naturalista e oggettivo, ma, sfruttando i codici tipici di vari generi cinematografici, senza disdegnare perfino la commedia con humour brit (vedi, la risoluzione della coppia di truffatori che frequenta il pub crocevia di vari personaggi), il lavoro di Dearden sollecita il pubblico di allora e di oggi (inevitabilmente, per motivi generazionali, con formazioni e sensibilità ormai molto diverse) a sviluppare una posizione critica, sicuramente non indifferente, sull’argomento trattato.

(Sei stelline e mezza)

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