Taste / 12 Marzo 2022 in Taste

Un calciatore nigeriano si trova in Vietnam per giocare in una squadra professionistica ma, causa infortunio a una gamba, viene scaricato dal club. La reazione non è il ritorno in Nigeria, tantomeno la ricerca di un lavoro in Vietnam; la reazione è il tentativo di creazione di un’utopia, di trovare rifugio nell’impossibile.
Insieme a quattro donne di mezz’età (tendenti all’anzianità) del posto, si rinchiude in una casa che diventa una sorta di comune: i cinque girano costantemente nudi, provvedono autonomamente al proprio sostentamento, consumano di tanto in tanto l’amore carnale, si divertono con passatempi bambineschi (e quindi profondamente sinceri). Ma questo mondo non è adatto alle utopie e l’esperienza è destinata al fallimento.

Bao Le prende la strada impervia dello slow cinema, tenta di incrociare Tsai Ming-liang con Pedro Costa, senza la pienezza estetica del primo e senza la radicalità politica del secondo, senza il loro coraggio nel far perdurare le inquadrature sino a farle implodere (che il regista vietnamita manchi della completa fiducia nelle proprie immagini? Eppure dovrebbe averla, perché alcune sono magistrali). Insomma, senza le tre qualità che permettono a film così lenti e silenziosi di non risultare noiosi.

In questo senso la scena del massaggio è emblematica: due corpi nudi che si toccano in una tenzone erotica, esattamente come in Days di Tsai. Ma quest’ultimo dilatava la scena all’infinito, caricandola di un poderoso, ipereccitante afflato sessuale. Bao Le invece la chiude quasi sul nascere, facendola durare solo una trentina di secondi: un coito interrotto. E probabilmente la differenza tra i maestri e l’allievo sta tutta qui.

Stiamo comunque parlando di un esordiente che, è evidente sin dalla prima inquadratura, di idee ne ha e non poche. Gli manca (per ora) la maturità per metterle pienamente a frutto. Ma è di belle speranze.

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