Recensione su Punto zero

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Easy Rider a quattro ruote / 18 Marzo 2016 in Punto zero

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Sull’onda del successo di Easy Rider, di cui costituisce la versione a quattro ruote (struttura simile, omaggi, citazioni), questo film di Sarafian ha una trama semplicissima, risolvendosi in un enorme inseguimento stradale della durata di circa 90 minuti.
Eppure, nonostante questa apparente banalità, è un film che dopo essersi ispirato, per l’appunto, al road movie per eccellenza (il film di Hopper), sarà richiamato molto spesso nella cinematografia americana successiva: pellicole come Duel e American Graffiti hanno vari appigli visivi con Vanishing Point, che verrà rifatto nel 1997 e esplicitamente omaggiato da Tarantino in Grindhouse – A prova di morte.
Dopo un lungo giro per le splendide, panoramiche strade del south-west e vari tuffi nella cultura hippy, il film termina in un modo tutto sommato prevedibile fin dal principio, a causa del maxi flashback.

Kowalski (protagonista insieme alla mitica Dodge Challenger bianca del ’70) rappresenta il giovane senza futuro, disincantato e disilluso, che si ribella alle autorità pur essendo tutt’altro che un disonesto (il regista lo sottolinea in vari punti, a volte anche in modo surreale). Diventa così un emblema di libertà e anarchia, forse l’ultimo per una generazione che non sa più a quali santi votarsi.
Figura centrale del film è anche il dj cieco di colore Super Anima, che incita Kowalski durante la sua fuga per mezzo della trasmissione radio che conduce. Anch’egli è un emblema della volontà di ribellione giovanile, emblematicamente castrata dalla violenza fascista di coloro che si intrufolano negli studi di registrazione per picchiarlo selvaggiamente.
Quello della stazione radio è anche un pretesto per proporre una grande colonna sonora rock, esattamente come avverrà nell’American Graffiti di Lucas.
Un film registicamente abbastanza lineare, chiuso però da una scena finale memorabile, in cui un montaggio serrato propone in rassegna vari volti di un’America disincantata, mentre il protagonista si avvia verso il suo tragico e segnato destino.

7 commenti

  1. Jack / 18 Marzo 2016

    Questo ”Vanishing Point” è così citato in ”Death proof” che non posso non vederlo. Non ho letto tutta la tua recensione per non beccarmi spoiler, ma dici che cavalca l’onda di Easy Ryder, di cui avevamo parlato. È più action-movie di quest’ultimo oppure mette la critica sociale al primo posto come il film di Hopper? (Che non mi fece impazzire per realizzazione tuttavia ne ammiro il coraggio)

    • hartman / 18 Marzo 2016

      a mio avviso è un’onesta via di mezzo: tende verso l’action movie ma come tutti i film anni Settanta della New Hollywood aveva un sostrato di critica sociale a cui del resto non poteva sottrarsi, visti i tempi…
      nella recensione lo scrivevo (ma hai fatto bene a non leggerla pechè un mini spoiler alla fine c’è), però Death Proof è un chiaro omaggio a questo film, il quale, pur non essendo famosissimo ispirerà visivamente vari lungometraggi successivi… @jules2517

  2. Bisturi / 18 Marzo 2016

    Grandissimo film “Vanishin Point”, straordinario, il mio road movie preferito insieme a “Strada a doppia corsia” di Monte Hellman con protagonisti James Taylor e Dennis Wilson dei Beach Boys. E pensate che avrebbe dovuto intepretarlo Gene Hackman. Comunque la @stefania sempre sul pezzo e ribatto con questa…;)

    https://www.youtube.com/watch?v=s7bixhF5Dfo

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