Recensione su Uomini contro

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Uomini contro / 8 Luglio 2016 in Uomini contro

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Un grande film antimilitarista, ispirato ad un testo importante che ancora oggi – per fortuna – viene fatto leggere nelle scuole per spiegare ai giovani il primo conflitto mondiale: Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu racconta, come questa pellicola, l’assurda carneficina che cancellò con un colpo di spugna i progressi europei di fine Ottocento e inizio Novecento, facendo da fucina per una deriva sciovinista e militarista che culminerà con i totalitarismi e il secondo conflitto mondiale.
Il film, in particolare, parla del fronte austro-italico e dell’inadeguatezza degli ufficiali italiani, disposti a sacrificare cinicamente migliaia di uomini con azioni suicide e al contempo ligi e severi nell’applicare una disciplina militare che non faceva che incrementare il malcontento dei soldati.
La sceneggiatura scritta da Tonino Guerra, Raffaele La Capria e dallo stesso regista finisce per calcare la mano su tali aspetti, dovendo concentrare nell’ora e mezza di durata un libro di respiro sicuramente più ampio: ecco dunque che il tema principale diventa proprio quello dell’incapacità degli alti comandi e degli ufficiali intermedi, rappresentati dal generale Leone e dal maggiore Malchiodi, e dello scontro sociale tra questi e i soldati, che a volte trovano dalla loro parte alcuni ufficiali ribelli, come il tenente Ottolenghi (un Gian Maria Volonté che emerge rispetto al resto del cast).
La farsa totale viene raggiunta con la significativa sequenza delle corazze, usate su ordine del generale e dimostratesi l’ennesimo segno dell’incompetenza dei vertici militari (ma anche la scena che precede il finale – nella quale i soldati italiani delle prime linee vengono bersagliati incessantemente dal fuoco amico dell’artiglieria – è una chiara dimostrazione degli errori commessi in quegli anni).
Una rappresentazione così spietata non poté che generare aspre polemiche, sia al momento di produrre il film (con necessità di spostarsi in Jugoslavia), sia all’uscita nelle sale, soprattutto negli ambienti di destra e in quelli dello stato maggiore, a causa della viltà di cui venivano accusati i soldati italiani (un aspetto che, in realtà, viene fuori in diverse pellicole ambientate su quel fronte, come nell’Addio alle armi di Charles Vidor).
Un’escalation che portò addirittura alla denuncia per vilipendio nei confronti del regista.
È innegabile che il film raggiunga momenti in cui la volontà di portare un messaggio il più forte possibile tracima nell’inverosimiglianza del rappresentato: come quando sembra che i soldati austriaci siano più pietosi degli stessi ufficiali italiani verso i nostri soldati, mentre invece non poterono che gioire dell’inefficienza italiana di quegli anni, imbevuti com’erano – come tutti – di nazionalismo e volontà di vittoria.
Nella seconda parte del film il protagonista diventa il sottotenente (poi tenente) Sassu, l’alter ego di Lussu, interpretato da quel Mark Frechette che soltanto poco tempo prima era stato scelto da Antonioni, da completo dilettante, per il suo Zabriskie Point. La prova di Frechette è discreta come in generale quella di tutto il cast, in cui, Volonté a parte, non emergono interpretazioni particolarmente memorabili, cosa del resto in linea con lo stile decisamente realista e il taglio dimesso della pellicola.
La scena finale, fortemente ideologica, è l’unica che appare fuori contesto in un film per il resto sufficientemente armonico quanto a ritmo e struttura.
La fotografia di Pasqualino De Santis, fresco vincitore di Oscar, con le sue tinte verdi opache dominanti, completa il quadro di una pellicola sicuramente importante per capire l’assurdità della guerra in generale e di una particolarmente onerosa in termini di perdite umane come la prima guerra mondiale: un qualcosa che aveva già mostrato più che dignitosamente un film come Orizzonti di gloria, rispetto al quale quello di Rosi replica diverse situazioni, anche visivamente, diventando una sorta di emulo italiano del capolavoro di Kubrick.

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