5 Ottobre 2013 in Un gatto a Parigi

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Un gatto, sinuoso e parigino, conduce veronischesca una doppia vita. Di giorno se ne sta a far compagnia a Zoè, bambina, figlia di commissaria cazzuta e un po’ ottusa, la quale cerca il cattivone (Victor Costa!) che le ha ucciso il marito, pulotto pure lui e padre della suddetta, evidentemente. Di notte se la gira, lungo le autostrade di sciovinistici tetti, insieme a Nico, ladro gentile e altrettanto felinamente flessibile. I percorsi di tutti si incrociano e la vicenda si spettina, in una notte dove stellata buoni e cattivi sono nettamente separati, noi e voi, e Victor Costa è davvero cattivo, e insieme ai suoi sgherri compone dei siparietti meravigliosi. Il disegno ha le stesse linee sinuose dei protagonisti, semplice ma non infantile, in un cartone che infantile non è (chiamiamolo un poliziesco per ragazzi? Per tutti?) e dove anche i grandi hanno gli incubi e le persone muoiono; la stessa Zoè è passata attraverso una perdita tale, quella del padre, da aver smesso di parlare. Inoltre la minuzia e attenzione con cui viene descritto come il gatto fa tutte quelle cose, così smaccatamente da gatti, che le persone amanti dei gatti amano, ecco, è rimarchevole (gattofilia modalità on). I dispetti ai cani, l’indipendenza, la sonnolenza and so on. Sul finale un po’ buco nella storia, perché Nico era un ladro, entra nella famiglia del poliziotto e si lascia intendere che d’ora in poi la commissaria se la bomba lui :/ ma vabbè.
E poi ci sta dietro anche la gloriosa rtbf, allez les rouges!

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