Recensione su Land of Mine - Sotto la sabbia

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I retaggi nascosti della seconda guerra mondiale / 18 Marzo 2016 in Land of Mine - Sotto la sabbia

Maggio 1945. L’Europa è devastata dalla guerra appena finita, ma le coste nord-occidentali della Danimarca sono cosparse di mine messe lì dai tedeschi che si aspettavano un attacco inglese su quel versante, attacco che non arrivò mai. Circa duemila soldati tedeschi, per la maggior parte ragazzi, furono deportati e messi a lavorare su quelle coste a sminare gli ordigni, in un gioco al massacro dal sapore di vendetta.
Se c’è un messaggio che nessuno ancora aveva nemmeno tentato di veicolare è il cercare di parlare dei tedeschi come vittime del meccanismo della seconda guerra mondiale. Martin Zandvliet ci prova, con l’ulteriore difficoltà di mettere sotto la lente critica la sua stessa patria, la Danimarca. Con la forza di chi ha capito che sotto l’ideologia della guerra le categorie del buono e del cattivo si confondono e invertono continuamente, il regista e sceneggiatore ci racconta come lo spirito di vendetta possa perpetuare nelle menti delle vittime, ripagando con la stessa moneta di morte il torto che hanno subito, di fatto proseguendo il crimine contro l’umanità, violando al contempo la Convenzione del 1929 relativa al trattamento dei prigionieri di guerra.
Il generale Rasmussen porta ogni giorno sulla spiaggia un piccolo plotone di ragazzi tra i tredici e i diciotto anni che, strisciando sulla sabbia, ne setacciano ogni decimetro. Il percorso filmico si muoverà attraverso il rapporto tra i ragazzi, Il generale, i maggiori dell’esercito danese e l’atteggiamento dei cittadini comuni. Sempre consapevole di doversi tenere lontano dal labirinto pietistico nel quale sarebbe stato facile perdersi, e piuttosto facendo i conti con le esplosioni, la fame e la crudezza pragmatica della vendetta, “Land of mine” è un film che ci dice di non fermarci ai singoli accadimenti di trama, di non cercare il colpo di scena, ma piuttosto di portarsi a casa una consapevolezza maggiore riguardo alla Storia e ai confini che troppo spesso delimitano il bene e il male, e lo fa con la una tecnica cinematografica spielbergiana, ma un respiro autoriale all’antitesi del blockbuster.

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