Transizioni / 18 Marzo 2018 in Una donna fantastica

Premiato per la sceneggiatura a Berlino 2017 e con l’Oscar 2018 come miglior film in lingua straniera, Una donna fantastica del regista e sceneggiatore cileno Sebastián Lelio colpisce per la sua capacità di tratteggiare senza facile retorica il ritratto di una persona indomita in un mondo ostile.
Marina Vidal, interpretata dalla cantante lirica Daniela Vega, qui alla sua prima esperienza da attrice cinematografica, è una donna in transizione capace di plasmare sé stessa e, contemporaneamente, anche il mondo che la circonda. La sua forza risiede nella capacità di trasfigurare la realtà attraverso l’immaginazione e in una determinazione impressionante. In questo senso, Marina è una vera e propria eroina, capace di resistere alla morte, alle correnti avverse, ai preconcetti (anche quelli fatti in buona fede), all’intolleranza e alla violenza, mantenendo intatte una naturale eleganza, la dignità che le spetta e la fiducia nell’Amore.

Il suo cambiamento, che Lelio e i suoi produttori, i fratelli Juan de Dios e Pablo Larraín, hanno definito una metafora della società cilena, non riguarda solo il suo corpo e il suo sesso (Marina, come Daniela, è nata uomo).
Marina ha circa trent’anni, sta diventando pienamente donna, almeno anagraficamente e secondo le classiche convenzioni sociali. Ha visto finire bruscamente un’importante relazione sentimentale e, a causa dell’atteggiamento dei parenti del suo fidanzato, deve fare i conti con una vita diversa da quella a cui stava abituandosi. Infine, si sta preparando a un’importante esibizione canora.
Marina prova ad affrontare tutto questo, mantenendo apparente calma e razionalità anche nelle situazioni più difficili, ma rifugiandosi, in realtà, in innocue zone di comfort elaborate dalla sua mente (le continue apparizioni dell’amato Orlando, la scena di ballo di gruppo di cui è la primadonna).

Quella di Marina non è una storia di genere (cinematografico o sessuale). Non è un dramma canonico, poiché contiene anche elementi sottilmente ironici e almeno una nota “gialla”, e questa storia non merita di essere ricordata solo per via della transessualità della protagonista. La vicenda raccontata nel film di Lelio è semplicemente una storia che parla d’amore e della rispettabilità che deriva agli individui dalla parte più nobile e disinteressata di questo sentimento.
Indubbiamente, se il film avesse avuto per protagonista un’amante più anziana o più giovane, ma biologicamente donna (come era nelle intenzioni iniziali del regista), la storia si sarebbe basata sugli stessi assunti, ma avrebbe avuto un sapore più convenzionale. In questo senso, il film ha giovato sicuramente della presenza magnetica di Marina/Daniela, del suo coraggio e delle sue fragilità, perciò plauso a Lelio che ha intravisto nella Vega, fino ad un certo punto semplice consulente alla sceneggiatura, l’incarnazione perfetta di Marina, convincendola ad accettare il ruolo.

Formalmente, il film presenta una notevole compattezza estetica, è sobrio ed elegante, proprio come Marina, ben calibrato nella soluzioni cromatiche e fotografiche (efficaci le scene in notturna) e risulta interessante anche nella scelta della varie location, urbane e domestiche (particolarmente originale il bar in cui lavora Marina, un po’ sala giochi vintage, un po’ caffetteria, un po’ jardins des plantes. Negli extra del dvd, la scenografa Estefania Larrain confessa che, se avesse voluto creare dal nulla un posto come quello, non ci sarebbe riuscita, a riprova del fatto che la realtà sa essere molto più ardita della fantasia, con un rimando inevitabile alla condizione “chimerica” della protagonista).

Leggi tutto