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Un tranquillo weekend di paura

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I cani di paglia di Boorman / 17 Febbraio 2022 in Un tranquillo weekend di paura

(Riflessioni sparse)

L’infernale disavventura in canoa di quattro cittadini supponenti e sprovveduti raccontata da Boorman e Dickey è pura New Hollywood.
La rilettura del genere horror iniziata da Romero, qui, si coniuga con una rielaborazione del western della Frontiera (e, infatti, il film non ha nulla di elegiaco nei confronti del tema), si mescola alla contemporaneità (Deliverance è un film che trasuda umori anni Settanta da ogni millimetro di pellicola) e scoperchia la pentola hillbilly che, di lì a poco, altri registi (vedi, Wes Craven e Tobe Hooper) avrebbero sfruttato ancora, premendo l’acceleratore sullo slasher.

Ho trovato emblematico il fatto che i 4 protagonisti adottino puntualmente l’atteggiamento sbagliato, nei confronti del contesto (umano/sociale e naturale), in cui si ritrovano ad agire: l’extra virile Lewis (Burt Reynolds) dichiara di avere uno spirito da pioniere (quindi, di un violatore), eppure è convinto di essere in grado di percepire il vero spirito dell’antico fiume; Bobby (Ned Beatty) è supponente e sprezzante nei confronti del luogo e delle persone che lo abitano e riduce ogni cosa e persona a canoni “cittadini”; Drew (Ronny Cox) ha una visione romantica della condizione di vita dei nativi del posto e, seppur in buona fede, pietisticamente (e paternalmente), considera la gente del luogo come creature silvestri (o aliene), da scoprire, per arricchire se stesso e, viceversa, loro; Ed (Jon Voight) tarda a comprendere di essere entrato in un mondo in cui l’unica legge vigente è quella della sopravvivenza a ogni costo.
Il risveglio dai rispettivi torpori è un nuovo battesimo, per tutti.
Con questo viaggio, i quattro rinascono, metaforicamente, a nuova vita e tutti, letteralmente, ne escono feriti profondamente nella carne e nello spirito.

Ho letto in giro che pare che anche Peckinpah si fosse dimostrato interessato ad adattare per il cinema il romanzo di James Dickey da cui è tratto questo film. Non mi stupisco, allora, di aver pensato spesso a lui e a Cane di paglia (uscito in sala un anno prima), mentre guardavo il lavoro di Boorman.

Comunque, Burt Reynolds senza baffi è come un cielo senza stelle.

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Altro che ritorno alla natura! (e che dire di Dueling Banjos?) / 13 Marzo 2016 in Un tranquillo weekend di paura

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Nello smentire il mito del ritorno alla natura, questo memorabile film di John Boorman, trasforma una gitarella outdoor del fine settimana in un incubo senza fine, con una tensione che si comincia a manifestare fin dalle primissime scene.
Quattro amici di Atlanta decidono di trascorrere un weekend immersi nel verde con una gita in canoa lungo il corso di un fiume che a breve verrà sommerso (insieme ai desolati paesi che popolano la vallata) a causa dell’imminente costruzione di una diga idroelettrica.
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La Natura vince sempre contro la superbia dell’uomo / 9 Agosto 2015 in Un tranquillo weekend di paura

Quella in cui si ritrovano immersi quattro giovani amici di Atlanta è una natura bellissima e incontaminata, ma ostile e lontana da ogni legge della civiltà.
E’ una natura furiosa, che grida il suo malcontento contro la distruzione che piano piano sta attuando l’uomo nei suoi confronti e lo punisce duramente per averla sfidata, per averla sfruttata per secoli.
Una profonda riflessione sullo scontro perpetuo tra uomo e natura, un film indubbiamente datato(conta già quarantatré primavere), ma che mantiene ancora oggi tutta la sua potenza visiva e tutta la sua bellezza grazie agli splendidi paesaggi, esaltati da una fotografia più che notevole.
Anche la trama è molto bella, angosciante, inquietante e fa riflettere su molti aspetti, in primis come scritto sopra la violenza dell’uomo nei confronti della natura, una violenza insita in ogni essere che, una volta immerso in un luogo senza regole e senza etica morale, si scatena in una ferocia inaudita, simile a una bestia dagli istinti primordiali.
Realizzato con un budget più che irrisorio, è a mio modesto parere uno dei film più belli e angoscianti degli ultimi quarant’anni, un film splendidamente diretto e ben recitato da tutti gli attori protagonisti, tra i quali spicca un giovane e affascinante John Voight(il papà di Angelina Jolie).
Mitica la scena del “duello tra banjo”.
Un cult da riscoprire.

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Bifolchi vs Resto del mondo. / 8 Aprile 2015 in Un tranquillo weekend di paura

Due canoe, un arco, tanta spavalderia ed un lungo fiume.
I protagonisti di questo film pensano di comprendere la natura, si credono e si sentono dei pionieri. Si sbagliano.

Non mi stuferei mai di vederlo perché in fondo Un tranquillo weekend di paura di John Boorman corrisponde perfettamente alla mia visone di cinema. Il cinema come direbbe Samuel Fuller è un campo di battaglia ed effettivamente DELIVERANCE un campo di battaglia lo è. Anche quando assistiamo alla scena relativa allo “scontro” musicale fra l’intellettuale della città ed il bifolco con le tare ereditarie, una scena parzialmente tranquilla nella quale si preannunciano una serie di eventi che scuoteranno nel profondo gli animi di questi quattro amici, fra cui il maschio alfa simbolo degli anni ’80. Quella scena signore e signori vale tutto il film e racchiude tutto il film, è una calma apparente, quasi premonitrice. È la quiete prima della tempesta.

Perché da quella scena, quella battaglia fra banjo e chitarra, inizierà una vera e propria discesa all’inferno per i quattro uomini. Deliverance è la morte del male breadwinner, è lotta alla sopravvivenza e tanto tanto altro ancora. Nulla è come sembra, le certezze cadono ed il rischio è farsi giudicare da una giuria di persone che si conoscono a vicenda.

Perché il cinema di Boorman o si ama o si ama.

DonMax

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Into The Wild… / 7 Ottobre 2014 in Un tranquillo weekend di paura

A volte, forse molto, troppo spesso, il genere umano per così dire civilizzato, istruito, “acculturato”, pecca un pò di presunzione, credendosi invincibile e naturalmente predisposto ad affrontare qualunque tipo di peripezia, magari solo per voglia di evasione o per un più primordiale bisogno di ritorno alle proprie origini o, perchè no, solo per un banale capriccio dettato dai troppi ‘confort’ della società borghese, sovrastrutture se vogliamo, che tendono così a defalcare quelle varianti ed imprevisti di sorta che la natura, al proprio strato brado, non sottrae proprio a nessuno. In “Deliverance” di John Boorman, storia di quattro amici di città intenzionati ad immergersi in un weekend ‘selvaggio’ a contatto con un mondo a loro per lo più sconosciuto con lo scopo di risalire in canoa il fiume Cahulawassee, prima che tutta la zona venga stravolta dalla costruzione di una diga, si parla in un certo qual modo proprio di ciò, dell’arroganza e della spavalderia dell’uomo occidentale, ormai del tutto inconsapevole, ignaro della dirompente forza della natura, silenziosa e magnifica ma in grado, quando vuole, di imporre la sua inequivocabile forza. I quattro amici, tutti estremamente diversi tra loro, abbiamo il leader sfrontato e carismatico fin troppo sicuro di sè, il quadrato e posato padre di famiglia, il mite e accondiscenente cittadino rispettoso delle regole e il classico gretto e superifciale panciuto che ti immagineresti con una birra in mano a guardare una partita di football, non sono altro che il riflesso di un’America ormai iconscia ed addormentata, una proiezione ben definita di una società benestante e votata al consumismo. I quattro si possono definire, in linea di massima, dei bravi individui, chi più chi meno, sprovveduti certo, ma infondo, infondo anche arroganti ed erroneamente consci della loro superiorità verso chiunque, in special modo verso quei pochi abitanti della valle, culturalmente arretrati e diciamolo pure tutt’altro che inclini al dialogo.
Ciò che era partito come un “divertissement”, un pò diverso dal solito, si trasformerà in breve tempo e per una serie di sfortunati eventi in un incubo terrificante, nel quale natura e genere umano si incontreranno e scontreranno in un crescendo di tensione e violenza insaspettate. Le correnti del fiume che si riveleranno più ostiche e meno gestibili di quanto i nostri immaginassero e l’ostilità dei burberi e violenti campagnoli, che sfocerà nella famigerta sequenza di violenza omosessuale ai danni di uno dei quattro, saranno gli elementi che imprigioneranno i protagonisti e li obbligheranno a scendere a quelle condizioni primordiali e, se vogliamo bestiali, imposte da una natura, in questo caso, spietata. La loro posizione cambia così drasticamente dall’incipt del film, il loro comportamento muterà e si adatterà, non senza sofferenze, alla crudeltà degli avvenimenti, sempre più estremi, facendo prevalere il cosiddetto istinto di sopravvivenza e dimostrando loro quanto tutto ciò risulti ingovernabile.
C’è tanto in questo film, dai rapporti umani di due società e classi sociali agli antipodi, al rapporto interno dei quattro amici, non più davanti ad una birra e ad un televisore a colori, bensì dinnanzi a delle insormntabili difficoltà che faranno emergere il loro lato oscuro ed allo sesso tempo li farà, forse, riflettere su quanto il loro essere “civilizzati” li abbia irrecuperabilmente distanziati dal mondo reale e di quanto piccoli siano quando contrapposti alla violenza di quel terribile ma affascinante insieme di elementi chiamato natura.
Messo in scena in modo impeccabile con una fotografia a tratti fredda, a tratti oscura e minacciosa “Deliverance” è un film impressionante e dirompente che si avvale di una regia lineare, asciutta e funzionale e di un cast azzeccatissimo, ottimamente amalgamato, composto dal qui ancora arizillo ‘schiantatope’ Burt Reynolds, leader carismatico del gruppo, il bravo e risoluto Jon Voight, il panciuto Ned Beatty e l’affidabile Ronny Cox. Un’opera indimenticabile ed indimenticata, anche per via di alcune memorabii sequenze, una su tutte il mitico duello chitarra/banjo e benissimo invecchiata, ancora carica di significato e di valore artistico, poichè il messaggio che lancia, intrattenendo splendidamente, è potente, universale e trascende il tempo che scorre, quasi quanto le acque del fiume Cahulawassee.

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