Recensione su Un marito per Anna Zaccheo

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Esasperata bellezza / 22 Luglio 2016 in Un marito per Anna Zaccheo

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Melodrammone popolare con tutti i crismi (compreso l’aficionado del genere, Amedeo Nazzari), tecnicamente ben confezionato dall’abile Giuseppe De Santis che, nella Pampanini, ennesima conturbante bellezza dell’epoca da lui calata in povere ma efficaci vesti, ha trovato lo strumento adatto a rappresentare la bella e sfortunata Anna.

La protagonista bramata da tutti è chiaramente un archetipo: è una ragazza particolarmente avvenente condannata dalla società ad una serie di ruoli definiti, quello di donna di casa o di femmina perduta, che, come da titolo, sembra costretta a trovare la propria identità solo in funzione dell’uomo a cui dovrebbe accompagnarsi e che, presumibilmente, dovrebbe fare di lei una “donna onesta”.
Sono tre le figure maschili che punteggiano la vita della protagonista: il marinaio Andrea, ragazzo appassionato, geloso ma amorevole; il navigato fotografo Illuminato (un nome che è tutto un programma); il ricco ma rozzo e lascivo Don Antonio.
Ma sono tutti gli uomini che si parano sulla strada di Anna a condizionarne l’andamento: come se la ragazza fosse miele, alcuno rimane indifferente alla sua presenza e ciascuno vorrebbe farla sua, poco rispettoso delle sue volontà.

Lungo tutto il film, Anna mantiene intatto il proprio animo romantico, ella non cambia di una virgola, è sempre coerente con se stessa, ma è chiaro che, all’apice del proprio dolore, matura significativamente: lasciato definitivamente Andrea, all’ennesimo approccio disdicevole da parte di un uomo, Anna -finalmente- reagisce, prendendolo ripetutamente a schiaffi (ed è tutto un turbinar di capelli dell’appassionata Pampanini nazionale), liberandosi del ruolo di succube educata al silenzio.
Il finale positivo, dal sapore ingenuamente accomodante (“Chissà quante ragazze hanno sofferto come me, ma… La vita è bella!”), lascia sperare che, dopo l’esasperata presa di coscienza, Anna continui a percepire se stessa a tutto tondo, come un soggetto (e non più come un oggetto) capace di autodefinirsi, un soggetto dotato di un “volume” per cui è necessario trovare il giusto spazio nel mondo, senza che occorra un’altra entità (un marito, per l’appunto) per tracciarne il profilo e dargli dignità.

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