Recensione su Un maledetto imbroglio

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Germi, il melodramma italiano e il noir di Hollywood / 27 Maggio 2018 in Un maledetto imbroglio

Germi prende Gadda e cor pasticciaccio brutto fa un affresco di costume a tratti fortemente ironico e dai toni giallissimi che unisce una sapida descrizione d’ambiente ricca di caratteri e caratteristi (vedi l’eccellente Saro Urzì e Franco Fabrizi) a un intreccio in cui sono fusi il melodramma italiano e il noir di Hollywood.
Precorrendo perfino Pasolini, Germi porta in scena (a questo punto, fra i primi, se non per primo? Bisognerebbe controllare) i ragazzi di vita (“Come ti chiami? … Detto anche?”, e ci si aspetta di sentir nominare da un momento all’altro er Riccetto o er Caciotta), accenna quindi alla prostituzione maschile, all’inurbamento selvaggio delle periferie e delle borgate romane e al loro umano deflusso e reflusso.

Alcune scelte estetiche (specifici movimenti di macchina, come la carrellata che va incontro alla Cardinale e la “abbraccia” mentre si solleva in lacrime dal povero lettone sfondato, taluni chiaroscuri, certe inquadrature specifiche come quella che mostra la silhouette di Ingravallo definita dal sole accecante che inonda Piazza Farnese) denotano un gradevole ardimento tecnico da parte di Germi.

Un maledetto imbroglio non è solo un giallo da manuale, con adeguatissimi protagonisti (l’Ingravallo di Germi è un Tenente Colombo ante litteram più manesco e sanguigno, precursore di certi poliziotterrimi degli anni Settanta dai metodi poco ortodossi e con lo schiaffone facile, che, forse, desume parte della sua indolenza cinematografica dal commissatio Fichet de I diabolici di Cluzot), ma è soprattutto un felicissimo adattamento di precisi cliché di genere a una cornice sociale e temporale estremamente definita e peculiare come quella della Roma del secondo dopoguerra.

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