Gli esperimenti di Coppola / 15 Febbraio 2017 in Twixt

Da una ventina d’anni a questa parte, non ho avuto l’occasione di seguire l’andamento della filmografia di Coppola Sr.
Già Jack con Robin Williams mi era parso qualcosa di strano, all’interno della sua, fino a quel momento, significativa carriera (escluso, per me, il film Peggy Sue si è sposata): non so bene se e come si siano evoluti nel frattempo il suo stile e la sua narrativa.
Certo è che questo Twixt è qualcosa che non mi sarei aspettata dal Coppola che conosco, perlomeno non in questa forma. Il risultato, per quel che mi riguarda, è estremamente ambiguo.

I temi del vampirismo e del soprannaturale in genere sono, qui, un pretesto per imbastire un racconto dal forte taglio autobiografico: il protagonista è uno scrittore che non riesce a superare il trauma derivatogli da un dramma privato e che, attraverso un’avventura in bilico tra il sogno e la realtà, tra il mondo reale e il demi-monde degli spiriti e dei demoni, cerca di ritrovare sé stesso e la maniera per usare al meglio la propria Arte.
Nel 1986, Coppola ha visto morire uno dei suoi figli in un incidente tra barche, esattamente come il protagonista del film: la ricostruzione dell’evento all’interno della pellicola e l’ammissione di colpa dell’uomo, che si sente responsabile del fatto come se lo fosse stato lui a causarlo, sono una sorta di definitiva autoanalisi di Coppola, alla ricerca di un’assoluzione o di una forma di sollievo.
I dialoghi tra lo scrittore e la sua guida nell’altromondo, Edgar Allan Poe, sulla natura della composizione letteraria, sono estremamente interessanti, perché sottolineano la necessità di una struttura “matematica” capace di sostanziare l’atto creativo, a prescindere dai mezzi con cui esso viene messo in atto, là la letteratura e la poesia, qui il cinema.
Le citazioni a precedenti lavori coppoliani, poi, abbondano: non si tratta della sola presenza del vampiro, che richiama La vergine di cera (che diresse parzialmente, non accreditato) e, ovviamente, Dracula di Bram Stoker. I riferimenti principali sembrano I ragazzi della 56ma strada e, soprattutto, Rusty il selvaggio e, quindi, il tema dell’adolescenza ribelle e l’uso espressionista del colore che, al di là di un risultato estetico volutamente posticcio che pare desunto dagli adattamenti di Rodriguez e Miller di Sin City, gioca con il concetto di percezione, sensoriale e sensitiva, se mi si concede l’uso abbastanza improprio del termine.

Posto tutto questo, però, il risultato è talmente confuso e artefatto da lasciare un retrogusto decisamente amaro in bocca.
La storia è, a tratti, incomprensibile, tanto è pasticciata, e non mi riferisco solo alla sempre maggiore confusione tra realtà e aldilà/sogno: il film ha delle carenze a livello narrativo che trasudano (voluta?) ingenuità.

Buona la scelta degli attori: Val Kilmer (fisicamente alla deriva, se si pensa per un attimo ai pantaloni di pelle indossati in The Doors) si presta bene al ruolo dello scrittore fallito e tormentato, con una vena di autoironia decisamente azzeccata; Bruce Stern è molto adeguato nel ruolo dello sceriffo schizzato; Elle Fanning è una perfetta BereniceLenoreLadyMadelineEcc. e Ben Chaplin veste davvero bene i panni di Poe.
Menzione speciale per la voce fuori campo di Tom Waits che introduce la storia, creando una puntualissima ed eccellente atmosfera da gotico americano.

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