Recensione su Troppa grazia

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Incompiuto / 25 Novembre 2018 in Troppa grazia

Troppa grazia di Gianni Zanasi è uno strano e incompiuto mash-up di elementi narrativi e stilistici. Come spesso accade ultimamente nell’ambito del cinema italiano (vedi, il ciclo di Smetto quando voglio, Noi e la Giulia, La mossa del pinguino…), si tratta di una commedia con premesse molto serie e drammatiche legate alla precarietà del mondo del lavoro. A questi elementi ormai classici, si aggiunge un inedito ingrediente fantastico, dato dalle visioni della protagonista, Lucia, interpretata da un’ottima Alba Rohrwacher.

L’incipit del film è molto efficace: velocemente e senza fronzoli, vengono descritti un contesto preciso e almeno un paio di personaggi (Lucia e l’imminente ex fidanzato, Arturo, bravo Elio Germano). L’elemento surreale del racconto, la comparsa di una Madonna (Hadas Yaron), manesca e testarda, ben diversa da quella definita dall’immaginario comune, arriva con corretta puntualità.

Da qui in poi, purtroppo, il film esaurisce ogni suo valido potenziale. Ricordo che anche un altro film di Zanasi, Non pensarci (2007), aveva lo stesso problema. La sceneggiatura perde progressivamente mordente, si attorciglia, fatica a trovare una buona risoluzione, forse alla ricerca -qui- di simbolismi e morali. I problemi personali della figlia adolescente di Lucia, con tanto di sfida violenta, ospedale e polizia, sono superflui, nell’economia della storia: non incidono neppure sul comportamento della protagonista. Il finale, frettoloso e con diversi ammanchi narrativi, mi ha deluso molto, confermando(mi) l’irresolutezza complessiva della sceneggiatura.

Trovo curioso il fatto che, a pochi mesi di distanza, la Rohrwacher sia stata impegnata in due produzioni con temi affini: la serie tv Il miracolo scritta e diretta da Ammaniti e, appunto, questo film di Zanasi. Nel primo caso, però, il progetto mi è parso ben più compiuto e, sicuramente, più azzeccato, soprattutto nei suoi toni caustici e argutamente demistificatori. Qui, benché paia il motore del racconto, l’elemento religioso sembra un intralcio, più che un “additivo”: non solleva domande e argomenti (se non quello, per niente banale, sulla “qualità” della Fede nel mondo contemporaneo, abbandonandolo subito), sembra toccare gli eventi casualmente.
Nel complesso, assegno la sufficienza al film di Zanasi solo per via della prova degli interpreti principali e dell’idea di base.

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