Traité de bave et d'éternité

Daniel, alter ego di Isou nel primo lavoro cinematografico lettrista, vaga pensieroso e a testa bassa per il boulevard Saint-Germain, mentre la colonna sonora, introdotta da una voce fuori campo, lo riporta ad un acceso dibattito cui ha appena assistito in un cine-club. In un convulso flash-back della memoria la tesi rivoluzionaria o, meglio, rivoltante dell'uso borghese della fotografia, insieme ad una sceneggiatura preambolo del cinema visionario, agisce contro e non per: questa pellicola fa da spartiacque nella dimensione dello strumento cinematografico oltre le tendenze avanguardistiche degli anni '30 dove un'altra arte (pittura, musica, architettura, letteratura) dovevano inserirsi nel linguaggio filmico. Può sembrare l'ouverture di un cinema di rottura o di semplice provocazione (come nel '69 Adieu Meliés, in cui l'autore si limita a presentare una sedia accompagnata dal commento: del cinema distrutto non resta che la sedia vuota dello spettatore), ma è solo diversa prospettiva, un cinema di spalle, dove la macchina non può o non deve arrivare. dove sia possibile abbracciare la concezione eretica dell'immagine.
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