M / 3 Febbraio 2021 in Tommaso

Ferrara si autonalizza: fa interpretare se stesso all’eterno feticcio Dafoe, gli mette accanto sua moglie e sua figlia (di Ferrara, intendo), ma il film che costruisce non risulta mai davvero sincero. Le riflessioni sul suo lavoro di regista (o di sceneggiatore, più che altro, in questo caso), sul suo passato di tossico e alcolista, sulla vita del migrante americano a Roma risultano sempre estremamente superficiali, spesso noiose. Quello che rimane è la descrizione di un rapporto difficile con la moglie, nulla che non si sia già visto centinaia di volte al cinema.
Le uniche parti davvero interessanti, forse, sono i sogni/visioni che di quando in quando frastornano il protagonista. Troppo poco per un film sulla carta così ambizioso, e alla fine a chi serve un’opera del genere a parte che a Ferrara stesso?

P.S. Poi è per me sempre molto bello vedere la mescolanza di lingue, di un americano sposato con una moldava che vivono in Italia. Ma questa è deformazione da linguista, non so quanti altri possa dilettare.

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