un documentario che porta il regista nella terra di Ozu. / 15 Aprile 2016 in Tokyo-Ga

L’opera ha un doppio volto: nostalgico verso i lavori ed il modus operandi di Yasujiro Ozu; pessimistico verso il Giappone “moderno”. Tokyo è mostrata come una metropoli frenetica e problematica. Il Giappone come una colonia americana, una terra che produce televisori, che contribuisce all’aumento dei televisori presenti sul globo, affinché tutto il mondo possa guardare le immagini americane (emblematica la sequenza con John Wayne ne “I cowboy” doppiato in giapponese e subito dopo l’apparizione non della bandiera a stelle e strisce, ma la palla rossa della bandiere giapponese). E ancora: Il golf, il baseball, i rockabilli, il pachinko un gioco apparso dopo la guerra perduta quando i giapponesi dovevo dimenticare il trauma Nazionale e il tempo passa, per un po’ si perde il contatto con sé stessi. Ci si fonde con la macchina, si dimentica quello che si è sempre voluto dimenticare.

Ecco, fondamentalmente il problema di Tokyo-Ga è quello di voler
analizzare il Giappone partendo da Ozu ma non viene analizzato bene né l’uno, né l’altro. Ma questo non è dovuto al fatto che Wenders è un incapace, semplicemente Wenders è rimasto deluso dagli sviluppi del Giappone. Anzi no, gli rode proprio il culo. Un Paese bombardato dalle immagini frenetiche, sporche, della televisione. Immagini lontane anni luce dal primo piano del piccolo Masahiko Shimizu in Buon giorno o dalla poesia di Viaggio a Tokyo (ampiamente citato nell’opera). A contribuire al pessimismo poi tutta la filippica di W. Herzog che in due minuti ti fa sentire ancora di più una me**a. Secondo il nostro santo protettore Werner Herzog restano poche immagini e Tokyo dalla Tokyo tower non offre immagini, offre palazzi.

Herzog non mostra mai palazzi, mostra immagini.
Non gliene frega un ca**o se deve andare su una montagna alta 8000 metri per regalarci delle immagini adeguate, lui lo fa, scala la ca**o di montagna e ci regala Immagini armoniose, intime, a costo di affrontare una lotta con la natura per ottenerle. A Tokyo non ci sono immagini pulite, trasparenti, ci sono i Rockabilli.
Grazie Werner, sempre carino e coccoloso mi raccomando.
DonMax

Note.
Werner era negli anni de “dove sognano le formiche verdi”

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