Non solo bei colori / 3 Ottobre 2023 in La meravigliosa storia di Henry Sugar

Il primo di una serie di quattro medio- e cortometraggi tratti da altrettanti racconti di Roald Dahl e adattati da Wes Anderson, La meravigliosa storia di Henry Sugar è un film molto diverso da Asteroid City dello stesso regista, pur essendo stato prodotto quasi contemporaneamente. I motivi potrebbero sembrare banali: c’è un’importante differenza di durata, e c’è una storia alla base di questo mediometraggio – il racconto di Dahl – che è molto più solida della trama meno che esile del lungometraggio. Ma c’è anche un’altra, più interessante differenza tra le due opere.

In Henry Sugar gli attori recitano integralmente il racconto di Dahl: non recitano cioè soltanto i dialoghi dei personaggi che interpretano, ma anche gli inserti del narratore che li riguardano. Capita così, per esempio, che Benedict Cumberbatch – che qui interpreta il protagonista Henry Sugar – a un certo punto pronunci la battuta “Sono io, pensò Henry, quell’uno su un miliardo”. Ovviamente in questo modo il realismo dell’opera crolla immediatamente; e Wes Anderson asseconda l’esito aggiungendo altri elementi non realistici: la rottura della quarta parete tramite lo sguardo in macchina è quasi costante; uno stesso attore interpreta diversi personaggi; si inseriscono elementi teatrali, come l’uso di fondali chiaramente posticci (e degli addetti che li muovono). Chi ha visto Asteroid City ricorderà che anche lì era presente un elemento teatrale, sotto forma di una specie di versione teatrale parallela del film intrecciata con la trama principale. Ma mentre in Asteroid City l’espediente risultava del tutto arbitrario (oltre che disorientante), in Henry Sugar si fonde perfettamente con gli altri elementi a formare un tutto stilistico originale, armonico e divertente – seppur al piccolo prezzo di distrarci talvolta dalla storia. E in più lo stile non è fine a se stesso, grazie alla collaborazione postuma con Dahl. Non arriverei al punto di suggerire a Wes Anderson di limitarsi d’ora in poi agli adattamenti di testi altrui; ma certo qui ha dato il meglio di se stesso, come non si vedeva da tempo.

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