7 Recensioni su

The Way Back

/ 20117.0115 voti

Niente emozioni / 20 Luglio 2019 in The Way Back

Malgrado ce ne fossero tutte le premesse, The Way Back non riesce a trasmettere molte emozioni, mantenendo un’aria di distacco dalla sua materia anche nei momenti più drammatici. La colpa è forse di una trama che è a un tempo unilineare, non concedendo molte deviazioni dalla traiettoria percorsa, e curiosamente elittica, soprattutto nel momento fondamentale della fuga dal gulag, che non vediamo; anche l’attraversamento del Tibet è compresso in pochi minuti (per esaurimento del tempo disponibile, suppongo).
Una parte della responsabilità va al protagonista Jim Sturgess, troppo uniformemente positivo, e a Colin Farrell, troppo sopra le righe, più grottesco che terribile. Note di merito al veterano Ed Harris e alla dolcissima Saoirse Ronan.

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Il voto sarebbe un 7.5 / 22 Dicembre 2015 in The Way Back

Siamo all’epoca della seconda guerra mondiale nella Polonia divisa in due tra tedeschi e russi. Nella parte russa, chi non è d’accordo con il regime viene rinchiuso nei gulag siberiani; in uno di questi finisce Janusz (bravissimo Jim Sturgess).
Insieme ad altri prigionieri, progetta la fuga quasi impossibile che li vede percorrere migliaia di chilometri alla ricerca della libertà.
Dopo le premesse, il viaggio estenuante degli uomini è l’avventura alla base del film; con drammi, qualche piccolo momento di ironia e la lunga camminata tra deserto e montagne.
Splendido cast tra cui cito Ed Harris (l’americano Mr. Smith), Saoirse Ronan (è una misteriosa ragazza che si unisce ai fuggitivi, anche lei alla ricerca della libertà), Colin Farrell (è il criminale Valka), Mark Strong (Khabarov, colui che dà l’idea di fuga a Janusz).
Paesaggi belli e infidi, la strana compagnia di uomini che man mano che il cammino procede rinsalda l’unione tra di loro.

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Camminare, camminare, camminare. / 30 Giugno 2014 in The Way Back

Al di là dei fatti tremendi raccontati, la pellicola in questione mi è parsa facilona, semplicistica e tendente all’idealizzazione.
Intrattenimento sufficiente, ben confezionato dal punto di vista estetico (bella fotografia), ma scarso sul piano delle caratterizzazioni e poco convincente nello sviluppo delle dinamiche: è probabile che, cinematograficamente parlando, sia ormai assuefatta ad una certo tipo di violenza e, in questo senso, sia diventata cinica, ma ho faticato molto a credere che, all’interno di un gruppo di disperati come quello rappresentato, non vi fossero praticamente tensioni di nessun genere, recriminazioni o giustificabili scoppi di vera ira. Se nella realtà i fatti si sono svolti davvero così, beh, la fortuna dei sopravvissuti, allora, è stata doppia.

Sturgess continuo a non sopportarlo granché, al contrario Ed Harris, qui, più o meno come al solito, mi è piaciuto, è una certezza. Farrell, doppiato come l’indiano Tonto (stessa voce italiana, quella di Fabio Boccanera, non è un caso che io faccia questo riferimento), parla come un selvaggio acculturato e si muove come un gangster: davvero poco credibile, in questo contesto.

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5 Novembre 2012 in The Way Back

Un film nel cui cast ci siano Ed Harris e Colin Farrell e la cui regia sia affidata a Peter Weir difficilmente mi potrebbe deludere e così è stato anche per l’ultimo lavoro di questo regista che amo molto e che mancava dagli schermi da ormai troppi anni . Esso tratta della fuga di un gruppo di detenuti da un gulag in Siberia – le scene di vita all’interno del quale mi hanno immediatamente portato alla mente l’agghiacciante e bellissimo libro di Salamov “I racconti della Kolyma – che attraverso mille peripezie raggiungono addirittura l’India , e personalmente ho trovato decisamente splendida soprattutto la prima parte , quella appunto dedicata ai preparativi della fuga . La fotografia è talmente affascinante da bastare da sola a consigliarne la visione mentre un appunto lo muoverei ad un doppiaggio non ineccepibile , che diventa addirittura fastidioso nel caso della (a mio giudizio improbabile) figura di Irena .

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L’inconfondibile cifra di Peter / 10 Agosto 2012 in The Way Back

Che The Way Back sia un film di Peter Weir è indubitabile, e non certo perché ce lo dicono i titoli di apertura, ma per quella capacità tutta sua di saper ritrarre gli spazi (1) e le atmosfere sospese (2).

Fin dai (meravigliosi) tempi di Picnic a Hanging Rock e L’ultima onda ciò che è il vero tema del film appare subito, in una splendida quanto perfetta “gestalt” a pochi istanti dall’inizio: l’inquadratura delle montagne siberiane: infinite, chiuse, nevose, argentee, inequivocabilmente, incredibilmente, assolutamente silenti… [servirà far notare che, in tutti e tre i titoli, la fotografia è sempre quella di Russell Boyd?]

La stessa chiara cifra rimane certamente lungo tutto il film, in molte altre inquadrature dei grandi spazi che questi 7 uomini attraverseranno per riprendersi quella libertà che gli è stata tolta – per lo più a torto. Ma via via che il film scorre, dopo che le prime scene ambientate nel gulag sono alle spalle, ciò che comincia a imporsi è quella sensazione di “realtà sospesa”. Apparentemente ben mascherata dietro la ferrea motivazione della meta a cui i 7 puntano, in verità il senso del viaggio si dispiega proprio in quel “durante” di cui nessuno sembra occuparsi [è curioso rilevare che ci vorrà l’arrivo di una donna per reintrodurre il senso della storia in quanto tale: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo… e ancora più interessante dal punto di vista narrativo sarebbe sapere se si tratti di un elemento di fiction o se sia uno degli elementi reali degli eventi a cui la storia si ispira].

E fin qui c’è tutto il bello e l’unico del cinema di Peter Weir, ma (a differenza) non penserei mai a questo film come a un film che emoziona, sebbene ci siano momenti di tensione e pathos, soprattutto nelle prime scene in cui viene ritratta la realtà del Gulag – ben girate, anche se non eccezionalmente originali in termini di stilemi di genere. Pochi di noi probabilmente non si sono già dovuti confrontare con immagini altrettanto provocatorie della nostra sensibilità di essere umani.

The Way Back, allora, è un film in cui perdersi, e immergersi, in cui lasciare andare i confini: dello spazio, del tempo, dell’identità, dei perché logici e inquisitori, che forse finirebbero poi per evidenziare troppo alcune improbabilità del racconto che viene proposto come “ispirato a una storia vera”.

E’ bello ritrovarti, Peter, e ritrovare quella voglia che possiedi di inquisire sul mondo, sulla natura e sull’essere umano, ma non posso non dire che questa volta, in questa pellicola, mi è mancato qualcosa: dettagli, forse, più dettagli e più vita, più reattività agli estremi, più “carne” (e non mi riferisco certo alla truculenza), perché sebbene minuscolo nel grande panorama cosmico, l’uomo entra fortemente in collisione con la natura quando ci si trova faccia a faccia, senza mezzi termini, e senza le sofisticazioni dell’era contemporanea.

Come hanno detto in molti, quindi, sì, è vero, The Way Back è certamente più epico, che realistico (a dispetto dell’additata origine) e, come vuole l’epica, si è limitato a “cantare” l’impresa di un gruppo di “eroi” (di coraggiosi), elogiandone l’idea stessa, e il coraggio di metterla in pratica, la volitività, la perseveranza [“Just keep walking”] e la scelta del “tutto per tutto” ma anche, forzatamente, come vuole questo genere narrativo, depurandola del “sangue”, del dramma, del dolore, delle domande senza risposta, degli istinti più biechi, degli istinti più naturali e più profondi, della lotta, interna ed esterna: con sé stessi, con gli altri, con le altre specie viventi, con il sole e con la pioggia, con il giorno e con la notte…

Cartoline, Peter, splendide, bellissime, ma cartoline… ora mi fai vedere anche il resto?

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2 Agosto 2012 in The Way Back

Due anni di ritardo ed un’uscita in sala in sordina gli ultimi giorni di giugno per l’ultimo lavoro del regista australiano Peter Weir (Truman Show, L’attimo fuggente, Master & Commander) mi sembrano un pò irrispettosi, specialmente di fronte ad un buon lavoro come quello di The Way back.
Non è un modo per far sempre polemica ma è davvero triste che a film di grande valore storico come questo (il regista ha lavorato mesi per ricostruire la vicenda ed assicurarsi della sua verdicità) siano relegati ai margini della programmazione cinematografica italiana per fare spazio alle tante cazzate estive (cito Biancaneve e il cacciatore e Lincoln ammazzavampiri anche se non li ho visti perchè tanto mi gioco l’intero stipendio di agosto che sono delle cagate pazzesche!).
Detto ciò, il film di Weir è la storia vera di un gruppo di uomini in fuga da un gulag siberiano, che hanno attraversato deserti, tempeste di ghiaccio, catene montuose e laghi sconfinati, hanno sofferto la fame, il freddo, gli stenti, la fatica e hanno percorso seimila km per arrivare in India.
Peter Weir realizza un ottimo film, con una bella fotografia che inquadra paesaggi sconfinati, all’interno dei quali l’uomo sembra davvero piccolo e misero. La natura ha una parte importante nel film (Malick apprezzerebbe) e lo spirito di sopravvivenza e la volontà di ferro che guida quel pugno di uomini così diversi (americani, russi, polacchi…) si integra perfettamente con i quadri selvaggi e feroci che descrivono il loro percorso.
I volti segnati, i corpi martoriati dalla fatica, arsi dal sole e gelati dai rigori dell’inverno sono ciò che più sottolinea la fiera resistenza di questo manipolo di uomini in fuiga.
Cast molto eterogeneo su cui spiccano Jim Sturgess, Colin Farrell e un grande Ed Harris.
Se all’inizio fa ripensare alla Grande Fuga, alla fine forse, si arriva a pensare che l’abbia pure superata.

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10 Luglio 2012 in The Way Back

Davvero un bel film, che racconta con sobrietà e realismo la durissima lotta per la sopravvivenza di alcuni fuggitivi da un gulag in Siberia, che riescono a raggiungere a piedi l’India. Fotografia notevole. Attori tutti bravi, con un ottimo Ed Harris.

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