Recensione su The Walk

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M / 6 Dicembre 2018 in The Walk

Zemeckis racconta una storia vera (vera nei limiti della finzione cinematografica), una storia senza dramma e si libera così di quello che è forse il principale difetto del suo cinema: l’esaurimento del dramma in faciloneria (o in accondiscendenza verso lo spettatore, forse: quanto sarebbe stato perfetto Cast Away se non avesse avuto l’ultima ammiccante mezz’ora?).
Il film è al contempo un atto d’amore verso le torri gemelle (ovvio simbolo di tante altre cose) e, soprattutto, verso Philippe Petit, uno dei più grandi uomini di spettacolo del XX secolo, colui che camminò su un cavo d’acciaio sospeso tra le due torri. La rappresentazione dell’uomo di spettacolo diventa dunque lo spettacolo in sé, lo spettacolo filmico: tutto ricostruito artificialmente (le torri, le camminate, le città), ma tutto talmente ben fatto da esprimere al meglio quanto l’immagine cinematografica possa essere bellezza, nient’altro che sublime, frastornante bellezza. Con inquadrature vorticose, campi lunghi che in realtà sono campi profondi (esorbitanti, fanno davvero venire le vertigini), primi piani esagerati, questo è uno di quei film per cui ciò che conta è il gesto (il puro gesto, diceva il protagonista di un altro bellissimo film sulle possibilità del cinema, Holy Motors di Leos Carax). E che gesto!
Forse il miglior Zemeckis di sempre, meglio anche del primo (unico veramente grande?) Ritorno al futuro.

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