Un dramma giudiziario teso e appassionante, interpretato da un Paul Newman in stato di grazia / 8 Giugno 2011 in Il verdetto

“Noi per lo più nella vita ci sentiamo smarriti, diciamo: “Ti prego, Dio, dicci che cos’è giusto, dicci che cos’è vero”. E non esiste giustizia. Il ricco vince e il povero è impotente. Ci sentiamo… stanchi di sentire le menzogne della gente. E con il tempo diventiamo morti. Un po’ morti, sì… considerando noi stessi… come vittime. E ci diventiamo vittime. Diventiamo… diventiamo deboli. Dubitiamo di noi, di ogni nostro principio. Dubitiamo delle nostre istituzioni. E dubitiamo della legge. Ma oggi voi siete la legge. Voi siete la legge. Non i libri, non gli avvocati. Non una statua di marmo… o l’apparato della Corte. Quelli sono solo simboli del nostro desiderio… di essere giusti. Ma essi sono… sono, di fatto, una preghiera. Sono una fervente, una spaventata preghiera. Nella mia religione si dice: agisci come se avessi fede. E la fede, la fede ti sarà data. Se… se dobbiamo avere fede nella giustizia… ci basta solo di credere in noi stessi… e agire con giustizia. E credo ci sia giustizia nei nostri cuori”.
Quando Frank Galvin pronuncia queste bellissime parole – nell’arringa finale con la quale tenta di convincere la giuria che ha di fronte che l’ospedale a cui i suoi clienti hanno fatto causa ha torto – è senza dubbio il momento più bello del film. Perché è una scena molto toccante, grazie soprattutto a uno straordinario Paul Newman, in questo caso ispirato come non mai. Vedere Newman recitare è sempre un piacere, specialmente in questo film, perché il personaggio di Frank Galvin – avvocato in crisi sia professionale che personale – sembra fatto apposta per esaltare le sue grandi doti recitative.
Frank una volta era un avvocato di grande successo. Lavorava presso uno studio legale prestigioso, e toccava sempre a lui occuparsi dei casi più importanti. Tutto questo fino al momento in cui, mentre patrocinava una causa delicata, venne accusato di aver tentato di corrompere un membro della giuria. Lui però era completamente innocente, perché in realtà fu il suo capo a tentare di comprare il giurato. Nonostante Frank fosse totalmente all’oscuro degli intrallazzi operati dal suo datore di lavoro, i sospetti su di lui bastarono a far sì che la sua carriera fosse rovinata. Le cose poi andarono di male in peggio quando sua moglie, proprio a causa di quella brutta storia, gli chiese il divorzio.
Da allora Frank si è attaccato alla bottiglia, e perciò come avvocato non lo vuole quasi più nessuno. Per cercare dei casi di cui potersi occupare, è costretto a consultare i necrologi delle persone morte a seguito di incidenti, nella speranza che i parenti delle vittime si rivolgano a lui in eventuali cause di risarcimento. E’ un uomo alla deriva, Frank; si sente profondamente disilluso nei confronti della vita, al punto che ormai non crede più a niente; ma quando tutto sembra perso, ci pensa un suo amico, Mickey Morrissey, anch’egli avvocato, a risollevarlo affidandogli un caso importante: quello di una donna in coma da quattro anni per colpa di un errore del medico anestesista che l’aveva in cura. La sorella della donna, e il di lei marito, hanno intenzione di fare causa all’ospedale in cui la povera paziente è ricoverata, e per farlo si rivolgono proprio a Frank.
Egli è talmente sicuro di vincere il processo che lo attende che si permette perfino il lusso di rifiutare – all’insaputa dei suoi clienti – l’ingente somma di denaro che l’ospedale vuole offrire come risarcimento ai familiari della povera donna. Questo processo per Frank potrebbe essere l’occasione giusta per dimostrare – soprattutto a se stesso, ma anche agli altri – che vale ancora qualcosa, sia come legale che come uomo: per vincere, però, se la dovrà vedere contro Ed Concannon, l’abile e scaltro avvocato che l’ospedale ha assunto come proprio difensore.
Il personaggio di Frank Galvin, avvocato in declino e, per di più, col vizio dell’alcol, era a forte rischio di retorica: ma per merito della straordinaria interpretazione di Paul Newman (in autentico stato di grazia), e anche della brillante sceneggiatura di David Mamet, che saggiamente evita di fare del suddetto personaggio un eroe, il rischio è abilmente schivato. Non meno importante, nell’ottima riuscita della pellicola, è la regia di Sidney Lumet: precisa, sicura, senza la benché minima sbavatura; il suo stile di regia, essenziale ed elegante al tempo stesso, è una grande lezione di cinema classico. Oltre alla già citata scena dell’arringa, va assolutamente ricordata anche la bellissima sequenza iniziale, in cui un lento carrello in avanti ci mostra Frank, all’interno di un bar, tutto intento a giocare a flipper con un boccale di birra in mano. “Il verdetto” è un dramma giudiziario teso e appassionante, scritto, diretto e recitato impeccabilmente. Nel cast, oltre a Newman, meritano una menzione particolare anche le ottime performance di James Mason (Ed Concannon), Jack Warden (Mickey Morrissey) e Charlotte Rampling (Laura Fischer). Perfetta anche la fotografia dai toni volutamente sommessi che ci restituisce una Boston fredda e quasi inospitale, degno specchio dell’anima assai malinconica dei personaggi che in essa si muovono. Un film da vedere.

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