13 Giugno 2013 in The Two Escobars

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Stradocumentario, facente parte di una serie di documentari più o meno sportivi targati ESPN, che racconta la storia dei due Escobar colombiani del titolo. Il primo è Pablo, narcoterrorista cattivissimo e amatissimo in patria, infatti la droga la faceva andare (circa 15 tonnellate al giorno:/) tutta negli USA. Nella Medellin dove era cresciuto, invece, era tipo il messia per i povirazzi, e costruiva campi da calcio e faceva beneficenza. Aveva una squadra, e ha fatto eliminare più di un arbitro che gli aveva fischiato contro (pure gli arbitri, perché pagati da altri narcotrafficanti che possedevano altre squadre di calcio, era un bel posto). Forse tra i più violenti del mondo, tra ’80 e ’90. Il secondo è Andres, me lo ricordo, avevo pure la figurina sull’album di Road to World Cup ’94. Difensore, capitano della nazionale, giocava nella squadra di Pablo e faceva parte della generazione cresciuta sui campetti di cui sopra. Interviste a pioggia con gente commovente, tipo Valderrama e Higuita (lo scorpiono, cribbio!), con le loro teste, e quello psicopazzo fenomenale che era Tino Asprilla. Nelle qualificazioni a USA ’94 la Colombia aveva spaccato il c**o a tutto il Sudamerica, e credevano seriamente di poterlo vincere. E la società, che passava nel frattempo attraverso un’autentica guerra di strada, con carri armati e elicotteri, tra narcos e governo appoggiato dagli Stati Uniti, vedeva il calcio come il biglietto da visita alternativo da offrire al mondo, noi non siamo solo sangue e spari e droga, siamo anche questo, e i giocatori erano diventate mezze divinità e quando c’era la partita tutto si fermava. Poi arrivò il mondiale, Pablo chiuse la sua carriera di droghiere più potente del mondo, perché ovviamente ormai aveva nemici sotto ogni piastrella e lo hanno fatto fuori. Grande il cugino, detto “Popeye”, che racconta, tra le altre cose, di come non riesca a ricordarsi di quanta gente ha ammazzato. La Colombia viene eliminata al primo turno dal mondiale, Andres Escobar segna, ma nella sua porta, l’unico autogol della carriera. Drama! Disaster! Aenigma! No, aenigma no. Tornano a casa, giorni dopo Andres viene sforacchiato da una calibro 38 nel parcheggio di un night. É lutto nazionale, Andres era sorridente, è una nazione che piange, e che non ci crede più.
Le carriere dei due sono fiumi che scorrono paralleli, e dal racconto di essi le inferenze sulle implicazioni e garbugli folli e inestricabili grovigli tra società a sport sono lasciate tutte allo spettatore, e sono una cascata. Merito di un interminabile racconto asciutto e scandito dalle testimonianze più o meno toccanti di chi, i Pabli, li aveva conosciuti, e spesso a suo modo amati, entrambi.

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