Recensione su Il cavallo di Torino

/ 20128.286 voti
Il cavallo di Torino
Regia:

straziante. / 4 Giugno 2013 in Il cavallo di Torino

scorre più di quanto ci si aspetti inizialmente.
è un film davvero intenso, si riesce a godere ogni dettaglio grazie alle sole trenta riprese.
la colonna sonora è l’unico elemento d’appiglio per la realtà, ed oltretutto è meravigliosa.
un continuo confronto tra la morte e la quotidianità, che arrivano infine ad essere messe sullo stesso piano. 146 minuti di arrendersi alla vita, che fan venir voglia di goderti appieno la tua appena cominciano a scorrere i titoli di coda.

10 commenti

  1. yorick / 4 Giugno 2013

    Mah, non mi pare che ci sia una resa alla vita. Fondamentalmente, i due se ne vanno quando l’acqua del pozzo finisce, e il fatto che si ritrovino nelle stesse condizioni non sta a significare altro che una necessità della resa, resa che però è incondizionata: non si lascia la vita, è la vita che vuole essere lasciata. Il cosmo, l’universo, la vita stessa si staccano dalla materia, o conducono la materia – uomini e cavalli – verso un altrove che, almeno dapprima, gli uomini non accettano perché non conoscono. Il fatto che tu interpreti il film come un arrendersi alla vita è, secondo me, pericolosissimo, perché mette in forse cose come la libertà, la necessità naturale/fenomenica di kantiana memoria ecc.

  2. proprioliah / 4 Giugno 2013

    a parer mio il fatto che tornino non è per necessità, ma per la poca forza d’animo che hanno verso il cambiamento.
    io l’ho visto come un essere vinti, il non avere potere verso ciò che la vita ha avuto in serbo per loro e l’arrendersi a ciò. subendone.

    • yorick / 4 Giugno 2013

      Ma l’essere vinti è una passività, appunto. L’arrendersi alla vita di cui tu parli è, viceversa, un pronominale se non una vera e propria attività. Da una parte sei un paziente, dall’altra un agente, anche se ammetto che è molto femminile trovare nelle passioni un che d’azione

  3. proprioliah / 4 Giugno 2013

    non sono d’accordo. l’essere arresi è di per sé una passività. è il postumo di una lotta, è un cadere battuti

    • yorick / 4 Giugno 2013

      Sì, ma è anche un tenere alla vita. Nella dialettica servo/padrone più hegeliana che marxiana il servo si arrende, perde la lotta perché, fondamentalmente, teneva di più alla vita del padrone, il quale ha vinto per aver dimostrato un disprezzo sine pari per la vita (vita organica, s’intende – la vita etica è un a posteriori). La resa è comunque un’attività, il passivo presume comunque un attivo, perché comunque io, essendo, mi sono: subire me stesso non è che un altro modo per dire che io sono, esisto, vivo. La passività della resa è una conseguenza dell’attività di arrendersi…

  4. proprioliah / 4 Giugno 2013

    a questo punto la passività non dovrebbe affatto esistere

    • yorick / 4 Giugno 2013

      No, infatti la passività non esiste, è un effetto di superficie. I corpi sono sempre cause e le qualificazioni che patiscono non sono che attributi. Se io ti taglio, tu continua a essere quella che eri, la modificazione del taglio sulla pelle non influisce sul tuo essere quella che eri prima del taglio: piuttosto, il taglio è qualcosa che ti qualifica, che ti individualizza, ma l’individuazione è una, e di certo, per quanta intimità vi sia in un tagliarsi-essere tagliata, la tua identità, il tuo essere-quella-che-sei rimane inalterato.

  5. proprioliah / 4 Giugno 2013

    ho un po’ perso il filo. io la passività la intendo come una sensazione, qualcosa d’interno. perché ora la trasporti sulla pelle?

    • yorick / 4 Giugno 2013

      Perché l’interno è il tuo io, quel qualcosa che “permane” e ti identifica. Dire che non esiste un interno stabile equivarrebbe a renderci tutti schizofrenici o quantomeno in preda agli eventi, instabili perennemente. I personaggi del film di Tarr rimangono quello che sono dall’inizio alla fine, pur subendo effetti devastanti. La morte stessa avviene in superficie, infatti la potenza della morte, ciò che affligge chi sopravvive, è il ricordo che sia morta quella determinata persona. In questo senso sposto la passività sulla pelle, cioè in superficie, perché qualifica la persona senza mutarla totalmente: è come un taglio, appunto, come la morte ecc.

  6. proprioliah / 4 Giugno 2013

    ecco, ora è chiaro. e piacevole.

    bene.

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