La definizione di flop / 17 Settembre 2021 in The Survivor

Che grande delusione, da un film che si presentava con un pedigree così prestigioso: la regia di Barry Levinson; il cast guidato da un Ben Foster sottoposto a dieta scheletrica, e poi Vicky Krieps, Danny DeVito, John Leguizamo, Peter Sarsgaard; la colonna sonora di Hans Zimmer; e il tema: la Shoah.

Eppure tutta la confezione sembra arrivare sbiadita da una capsula del tempo interrata negli anni ‘90. Quasi senza pudore Levinson fotografa in bianco e nero i flashback da Auschwitz, e come se non bastasse anche il tema musicale di Hans Zimmer riprende nella melodia e nell’arrangiamento quello di John Williams per “Schindler’s List”.

Andare a riscalzare quegli stilemi è una sconcertante dichiarazione di debolezza della storia vera che ci si proponeva di raccontare, ovvero quella di un ebreo polacco che è sopravvissuto ai campi di concentramento offrendosi come pugile contro gli altri internati per il diletto delle guardie, e per questo considerato dal suo stesso popolo un traditore.

La delicatezza necessaria per trattare della disumanizzazione nei campi di concentramento sembra non appartenere agli strumenti espressivi di Levinson, che crede di potersela cavare indugiando sulla violenza e sulla disciplina fisica di Ben Foster. Ben Foster, già protagonista di interpretazioni mimetiche notevoli ma che poggiavano su caratterizzioni e dialoghi ben più brillanti, sperava forse di agguantare l’Oscar con un sacrificio così estremo, ma si è affidato a una regia precisa come una grandinata e a una sceneggiatura didascalica e stereotipica, di grana grossa e sporca.

Nulla in questo film è andato nel verso giusto. Sono sconvolto.

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