Il sale della Terra

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Il sale della Terra

Attraverso il racconto biografico dedicato al fotografo Sebastião Salgado, Wenders racconta lo splendore del mondo ed il rischio correlato alla presenza ed allo sfruttamento umano delle risorse naturali.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Le sel de la terre
Attori principali: Sebastião Salgado, Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado, Hugo Barbier, Lélia Wanick Salgado, Jacques Barthélémy, Régis Muller, João Pessoa Mattos, Leny Wanick Mattos, Maria Teresa Salgado Rocha Bastos, Rodrigo Ribeiro Salgado

Regia: Wim WendersJuliano Ribeiro Salgado
Sceneggiatura/Autore: Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado, Camille Delafon, David Rosier
Colonna sonora: Laurent Petitgand
Fotografia: Juliano Ribeiro Salgado, Hugo Barbier
Produttore: David Rosier, Wim Wenders
Produzione: Brasile, Francia, Italia
Genere: Documentario, Biografico
Durata: 110 minuti

Dove vedere in streaming Il sale della Terra

Il sale della Terra / 14 Agosto 2015 in Il sale della Terra

Documentario sulla vita e le opere di Sebastiao Salgado, fotografo brasiliano che ha raccontato lo stato del Pianeta, sia nella sua componente naturalistica, sia in quella antropologica, come pochi altri hanno saputo fare in questi ultimi decenni.
Le sue celebri campagne fotografiche tematiche lo hanno impegnato, ciascuna, anche per diversi anni: dalle “Altre Americhe” (“Other Americas”), progetto che lo portò, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, ad esplorare l’America latina, a “La mano dell’uomo” (“Workers”, della seconda metà degli anni ‘80) in cui si confrontò con il mondo della produzione industriale documentandone i primi sviluppi in chiave globale, con il superamento della concezione tradizionale di lavoro.
Ma il vero amore di Salgado fu quello per l’Africa, il continente che più di tutti era in grado di fornire una testimonianza genuina, ancorché spesso crudele, della natura dell’uomo. Dai reportage nel Sahel di metà anni ’80, ai lavori degli anni ’90 sull’umanità in movimento: profughi e rifugiati in primis, come quelli che fuggivano dai teatri di guerra in Africa (in particolare nel Ruanda), ma non soltanto, come testimoniano i reportage nell’ex Jugoslavia.
Fu probabilmente il periodo più drammatico, professionalmente e umanamente, per Salgado, che attraversò fasi di profondo scoramento dovendosi scontrare quotidianamente con situazioni così tragiche, in cui la cieca brutalità della morte finiva per diventare qualcosa di ineluttabilmente familiare.
Una rinascita spirituale e professionale di Salgado si è avuta negli ultimi anni, quando decise di dedicarsi a qualcosa di più ottimistico, qualcosa che potesse fornire una speranza ad un’umanità spesso troppo brutale: le meraviglie della natura e dell’ambiente, raccolte nell’ambito del progetto “Genesis”. Ma Salgado non vi si dedicò soltanto dal punto di vista fotografico: nelle terre di proprietà della sua famiglia, in Brasile, avviò un progetto per ripopolare la foresta, che un tempo ricopriva quelle zone diventate così brulle ed anonime. Nel corso degli anni i coniugi Salgado riuscirono a ripiantare oltre due milioni di alberi su varie centinaia di ettari di terreno, dando vita al progetto “Instituto Terra”.

Wenders si dimostra un abile selezionatore di grandi storie – prima ancora che confermarsi, ancora una volta, come un ottimo regista – proponendo un film-documentario estremamente coinvolgente e commovente.
Le opere di Salgado vengono presentate, in alcuni tratti, con quello che sembrerebbe un banale slide-show, anche se il commento in sottofondo dell’Autore (la cui immagine spunta come un ologramma all’interno della fotografia), fornisce un notevole valore aggiunto.
Come nella scena iniziale, in cui Salgado presenta alcune delle sue fotografie più famose, quelle scattate nella miniera brasiliana della Serra Pelada, ove documentò condizioni di lavoro che fanno immediatamente pensare all’immagine iconizzata del lavoro degli schiavi dell’antico Egitto durante la costruzione delle piramidi.

È la potenza dell’immagine che diventa arte.
Come ricorda il regista in apertura, fotografia deriva dal greco, e significa scrivere con la luce.
Le meravigliose fotografie di Salgado, in un bianco e nero estremamente contrastato, fanno proprio questo: raccontano, scrivono qualcosa che difficilmente il più abile dei narratori potrebbe spiegare con le parole.
Il lavoro di Wenders è fortemente incentrato sull’uomo e sulle sue contraddizioni: l’uomo è il sale della Terra, espressione tanto suggestiva quanto cruda e ambigua, che dà il titolo alla pellicola.
Aiuto regista di Wenders è il figlio di Salgado, Juliano Ribeiro.

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16 Aprile 2015 in Il sale della Terra

La fotografia di Salgado è favolosa e grazie a questo film se n è può avere una visione completa. Nonostante ciò, ho trovato il film in alcuni momenti un po’ pesante. Bellissima l’ultima parte dedicata a Genesis.

26 Marzo 2015 in Il sale della Terra

Visto già al Festival di Roma (solo metà, perché stanco morto mi addormentai), e rivisto oggi perché il mio multisala di provincia lo ha programmato in una rassegna. Fra l’altro: sala piena fino alla prima fila; so’ soddisfazioni.

Uno slideshow delle fotografie pazzesche di Salgado basterebbe a suscitare palpitazioni. Wim Wenders fa un passo in più, un passo da artista, e di questo fotografo brasiliano ne fa un personaggio potente e profondo quanto le sue fotografie. Il documentario si compone principalmente di due tipi di sequenze: quelle di making of, con la troupe di Wenders o Juliano Salgado al seguito delle avventure di Salgado padre in giro per il mondo, e quelle di Salgado intervistato da Wenders davanti/attraverso l’ologramma delle sue fotografie, con Salgado a commentarle. E sono queste sequenze di intervista (con esibizione delle foto, ovviamente) a fare de Il sale della Terra un capolavoro di sensibilità artistica (di entrambi: fotografaro e cinematografaro) e di montaggio e narrazione cinematografica. Normale amministrazione per il genio di Wim Wenders.

Dopo la visione al Festival di Roma mi sono precipitato a comprare il librone fotografico da 50 euro dell’ultimo progetto di Salgado, Genesi (2014, ed. Taschen). Sono ancora al primo capitolo, perché l’ho riguardato da capo già parecchie volte di volte. Un’esperienza mozzafiato.

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23 Gennaio 2015 in Il sale della Terra

da non perdere

21 Dicembre 2014 in Il sale della Terra

Una profonda introspezione nel mestiere del fotografo per esplorare la natura umana, nello sguardo e con lo sguardo di Sebastião Salgado, traghettatore della curiosità del regista Wim Wenders verso una storia che è universale e particolare allo stesso tempo, biografica ma antropologica.
Nella miniera d’oro di Serra Pelada s’incontrano uomini brulicanti, di qualsiasi estrazione. Corrono su e giù in ziggurat di terra carichi di sudore e sacchi pieni di fortuna e miseria. È solo un brulicare continuo, il resto è finto schiavismo e voglia di ricchezza. Cercano oro e sono cercati da un fotografo, che ne immortala la frenesia. Inizia un percorso fatto di ricerche sparse per il pianeta, bisogni primari di un uomo che necessita di guardare e capire tramite l’obbiettivo.
“Il sale della terra” siamo noi uomini, le nostre interazioni e le mutevoli circostanze che acuiscono sapori vari, infiniti. Alla ricerca di questi sapori il fotografo e la sua vita, una moglie che ne condivide, ma soprattutto ne sostiene le ragioni, e un figlio che ne seguirà le orme, aiutando il regista Wenders a compilare un percorso altrimenti troppo vasto. Juliano Ribeiro Salgado è alla scoperta di suo padre, e lo segue pedissequamente per immortalare il retroscena della scena, interfacciando il prodotto finito (le foto di Salgado senior) alle ragioni d’essere di quello stesso risultato, donandoci la chiave di lettura principe e soprattutto non autoreferenziale, che richiede ascolto di ragioni altre rispetto all’immagine riflessa sulla nostra interiorità. Da Other America, reportage sulle terre sudamericane, passando per Sahel (l’angoscia dell’uomo nell’Africa impotente), The End of the Road, Workers, Exodus per poi approdare a Genesis. Salgado junior segue mentre Wenders filtra con sguardo riflessivo ma compatto, convinto nel ritrarre il volto del fotografo segnato dal passare delle emozioni nello stesso bianco e nero delle foto, compreso nella sua proprietà chiarificante, che permette di vedere più di quanto non si possa fare nel caos dei colori. La compenetrazione del regista sul fotografo è piena, e lo si vede anche dal formato variabile del girato: spesso in 4:3, si adatta alle molte foto in scorrimento, e la telecamera ferma ritrae con eremitica fermezza una scena che si compone sola, nelle piaghe dei visi, nelle contorsioni dei corpi, nella forza delle immagini. Il colore irrompe lì dove il regista si riappropria del suo sguardo e osserva in seconda linea. Il racconto mescola le carrellate delle fotografie a scorci di vita e d’avventura, sulla base tonante delle voci di Luca Biagini e Angelo Maggi, un reale valore aggiunto per la versione italiana. Il percorso di ricerca umana si fa pian piano più sfaccettato e sofferto: sono molte le disumanità denunciate dai reportage di un’Africa malata di colera, ma ancor più le picassiane forme del genocidio. “Quante volte ho dovuto abbassare la telecamera per piangere” ricorda Sebastião, in uno strazio che era prima vissuto e poi immortalato, fin tanto che il dolore potesse essere contenuto in un solo uomo, dopodiché natura. Genesis, ritorno all’origine incontaminata del pianeta prima che potesse essere arso dal sale (noi), in quei luoghi nascosti e primordiali della Nuova Guinea, delle Galapagos, degli animali e di quelle tribù indigene ancora spurie del significato di devastazione.
Un percorso intenso, che approda a un finale talmente simbolico da doverlo necessariamente scoprire in visione, dal messaggio inequivocabilmente concreto. La summa di una vita votata all’umiltà dell’osservare.

http://www.sonofmarketing.it/la-forza-di-un-obiettivo/

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