Il sale della Terra / 14 Agosto 2015 in Il sale della Terra
Documentario sulla vita e le opere di Sebastiao Salgado, fotografo brasiliano che ha raccontato lo stato del Pianeta, sia nella sua componente naturalistica, sia in quella antropologica, come pochi altri hanno saputo fare in questi ultimi decenni.
Le sue celebri campagne fotografiche tematiche lo hanno impegnato, ciascuna, anche per diversi anni: dalle “Altre Americhe” (“Other Americas”), progetto che lo portò, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, ad esplorare l’America latina, a “La mano dell’uomo” (“Workers”, della seconda metà degli anni ‘80) in cui si confrontò con il mondo della produzione industriale documentandone i primi sviluppi in chiave globale, con il superamento della concezione tradizionale di lavoro.
Ma il vero amore di Salgado fu quello per l’Africa, il continente che più di tutti era in grado di fornire una testimonianza genuina, ancorché spesso crudele, della natura dell’uomo. Dai reportage nel Sahel di metà anni ’80, ai lavori degli anni ’90 sull’umanità in movimento: profughi e rifugiati in primis, come quelli che fuggivano dai teatri di guerra in Africa (in particolare nel Ruanda), ma non soltanto, come testimoniano i reportage nell’ex Jugoslavia.
Fu probabilmente il periodo più drammatico, professionalmente e umanamente, per Salgado, che attraversò fasi di profondo scoramento dovendosi scontrare quotidianamente con situazioni così tragiche, in cui la cieca brutalità della morte finiva per diventare qualcosa di ineluttabilmente familiare.
Una rinascita spirituale e professionale di Salgado si è avuta negli ultimi anni, quando decise di dedicarsi a qualcosa di più ottimistico, qualcosa che potesse fornire una speranza ad un’umanità spesso troppo brutale: le meraviglie della natura e dell’ambiente, raccolte nell’ambito del progetto “Genesis”. Ma Salgado non vi si dedicò soltanto dal punto di vista fotografico: nelle terre di proprietà della sua famiglia, in Brasile, avviò un progetto per ripopolare la foresta, che un tempo ricopriva quelle zone diventate così brulle ed anonime. Nel corso degli anni i coniugi Salgado riuscirono a ripiantare oltre due milioni di alberi su varie centinaia di ettari di terreno, dando vita al progetto “Instituto Terra”.
Wenders si dimostra un abile selezionatore di grandi storie – prima ancora che confermarsi, ancora una volta, come un ottimo regista – proponendo un film-documentario estremamente coinvolgente e commovente.
Le opere di Salgado vengono presentate, in alcuni tratti, con quello che sembrerebbe un banale slide-show, anche se il commento in sottofondo dell’Autore (la cui immagine spunta come un ologramma all’interno della fotografia), fornisce un notevole valore aggiunto.
Come nella scena iniziale, in cui Salgado presenta alcune delle sue fotografie più famose, quelle scattate nella miniera brasiliana della Serra Pelada, ove documentò condizioni di lavoro che fanno immediatamente pensare all’immagine iconizzata del lavoro degli schiavi dell’antico Egitto durante la costruzione delle piramidi.
È la potenza dell’immagine che diventa arte.
Come ricorda il regista in apertura, fotografia deriva dal greco, e significa scrivere con la luce.
Le meravigliose fotografie di Salgado, in un bianco e nero estremamente contrastato, fanno proprio questo: raccontano, scrivono qualcosa che difficilmente il più abile dei narratori potrebbe spiegare con le parole.
Il lavoro di Wenders è fortemente incentrato sull’uomo e sulle sue contraddizioni: l’uomo è il sale della Terra, espressione tanto suggestiva quanto cruda e ambigua, che dà il titolo alla pellicola.
Aiuto regista di Wenders è il figlio di Salgado, Juliano Ribeiro.