Recensione su Relic - L'evoluzione del terrore

/ 19975.714 voti

12 Settembre 2013

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Liberamente ispirato al romanzo della coppia Preston&Child, questo film rispecchia solo in parte il proprio titolo. Si parla di evoluzione, sì, ma non c’è nulla di terrorizzante. Il che, dato che viene presentato come un horror, fa riflettere. Questo è un film di pseudo-fantascienza, oltretutto di bassa qualità. Evito un commento alla cover italiana del DVD.
Come purtroppo accade sempre più di frequente, i realizzatori credono di poter bilanciare una trama raffazzonata con delle musiche ansiose alla Squalo-maniera. Accade per un motivo che ha del ridicolo, in un film basato su un romanzo: quest’ultimo non viene rispettato, e di conseguenza neanche lo spettatore. Ne risulta che l’intreccio non risponde a tutte le domande sparse qua e là, che il mostro è idiota e i protagonisti si comportano avventatamente, senza riflettere.
Per motivi oscuri, l’azione si svolge a Chicago, a differenza del libro, ambientato a New York. Che ‘Chicago’ suoni meglio?
Il tenente D’Agosta, anche se interpretato dal bravo Tom Sizemore, è un personaggio privo del benché minimo spessore. Viene dipinto come un uomo estremamente superstizioso (in evidente assonanza con la mostra), timoroso di qualunque credenza popolare, dai gatti neri alle scale, e questo non gli conferisce l’autorità che dovrebbe rappresentare. Non si pensa che possa essere lui a salvare la situazione, non ispira rispetto né fiducia.
Dopotutto non è lui il vero protagonista del libro, bensì Margo. Ma lei è sopraffatta dalla paura, non sa affrontare il pericolo con sangue freddo, ed è per questo che dovrebbe entrare in scena l’agente dell’FBI Pendergast. Un’apoteosi di intelligenza, saggezza e colpi di scena, il migliore. Chiaramente nel film non ce n’è traccia, cosa che non ha fatto contenti Preston e Child, i quali hanno commentato allibiti: “Non è che il film ci sia piaciuto molto…”
Scomparso nel nulla anche l’esilarante ma brillante Smithback, giornalista d’assalto, in favore di una fusione tra altri due personaggi. Nel romanzo, Lavinia Rickman e Ian Cuthbert hanno le loro ragioni d’essere, ma nel film diventano un personaggio solo, la signora Cuthbert (bravissima l’attrice, bisogna dirlo).
La storia dovrebbe aprirsi con l’omicidio di due bambini, che tuttavia sulla celluloide rimangono vivi e vegeti, solo per allungare il brodo e far ammazzare qualcun altro alcuni minuti dopo.
Il mostro si chiama ‘Kothoga’, che è più bello di ‘Mbwun’, ed è il risultato della mutazione genetica di un essere umano. Nel libro è ben chiaro, e stranamente pure nel film. Soltanto, nel libro ha un aspetto scimmiesco, che richiama un barlume di umanità, mentre nel film è proprio un mostro schifoso, viscido, puzzolente, dotato di chele (!) che di umano ha solo un paio di cellule. Prima della mutazione, il suo nome era Julian Whitney (invece di Whittlesey, perché se no il pubblico scemo non se lo ricorda bene). Peraltro, essendo in parte umano, dovrebbe essere intelligente… e invece no. Davanti a una porta d’acciaio, anziché arrendersi e tornare indietro, preferisce prenderla a testate fino a fare un lago di sangue sul pavimento, così Margo può prenderne un po’ e analizzarlo. Però, prima di morire, si toglie una soddisfazione tipica di un attacco di lussuria tutto umano: si appiccica a Margo, la fissa, sbava e le dà una bella leccata, abbastanza vicino perché lei possa dargli fuoco e ammazzarlo. Fine.
Sconsigliato.

Lascia un commento