Recensione su Hollywood Party

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Un classico della comicità / 7 Maggio 2016 in Hollywood Party

A rivedere per l’ennesima volta questo classico della comicità, sono rimasto colpito dal fatto che non sempre si ride delle situazioni in cui si va a cacciare il protagonista; non perché non siano oggettivamente esilaranti, ma perché l’impasto di timidezza e di estrema goffagine (le due cose vanno sempre diabolicamente insieme, rafforzandosi a vicenda, come ben sa chiunque conosca – ehm – molto da vicino qualcuno che ne sia affetto) con cui si cerca l’effetto comico creano a volte più un sentimento di Fremdscham che di ilarità. Ci sono momenti del film in cui il compito di divertire lo spettatore ricade quasi interamente sulle spalle di Steve Franken (il cameriere ubriaco), mentre uno assiste orripilato all’ennesima gaffe di Hrundi V. Bakshi, che in certi punti si avvicina a essere una figura tragica – anche se alla fine conquista il cuore della bella (cosa che nella vita reale naturalmente non succede mai ai timidi e goffi). È ammirevole il modo in cui gli altri personaggi siano in realtà anche più imbarazzanti del povero Bakshi – ma godano del beneficio indiscusso di non rendersene conto. Anche qui l’arte imita la vita.
In ogni caso, il momento di comicità più potente del film spetta indiscutibilmente a Peter Sellers, mentre in preda a una disperata urgenza biologica rimane intrappolato dietro la ragazza che canta; le espressioni che attraversano il volto di Sellers in quegli istanti sono un monumento a un attore straordinario – se riuscite a vederle mentre ridete fino alle lacrime.
Verso la fine il film perde un po’ di compattezza: Bakshi ubriaco si agita scompostamente senza molto costrutto, mentre un doppio intervento esterno – i russi e l’elefante – precipita il party e The Party verso una sorta di caos primigenio, con una soluzione comune nel genere ma non molto soddisfacente. Ma rimane un grandissimo film.

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