Recensione su The Neon Demon

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Coniglietto mannaro / 8 Giugno 2016 in The Neon Demon

Esteta compiaciuto delle proprie ossessioni, Refn dedica il suo ultimo film a quell’universo femminino che lo affascina e possiede intimamente: con The Neon Demon il regista danese mette in scena una femminilità aliena e superna, definita tale dalla Natura o dai bisturi, magica e stregonesca, in cui dualità ancestrali come l’innocenza e la violenza convivono per dare equilibrio al mondo.
Incorniciata in un contesto glamour come quello dei set fotografici di moda, la storia è un’ennesima versione della legge della giungla: Jesse (Elle Fanning, fatta d’oro e porcellana, simulacro perfetto) è un coniglietto piombato in una selva abitata da animali predatori. Non è un caso che anche la camera del motel in cui vive sia caratterizzata da tessuti a stampe floreali e vegetali (foglie alle pareti, fiori sul copriletto), come se si trattasse di una radura oltre la quale si apre un mondo selvaggio abitato da fiere pericolose (iene che mangiano carcasse, boa constrictor che stritolano senza preavviso, lupi che uggiolano alla porta).
In un gioco continuo di camuffamenti, in cui luci pulsanti e vibranti neon contribuiscono ad alterare la percezione della realtà, il coniglietto cambia pelle (come lo stesso Refn, mai uguale a se stesso, nei suoi film), anzi mostra ciò che nasconde sotto la morbida pelliccia: ambizione e pericolo(sità).

Come dicevo all’inizio, Refn è particolarmente compiaciuto, sia di sé che della propria creatura cinematografica: asseconda pulsioni personali, mette in scena virtuosistici feticci estetici e tecnici per appagare, qua come mai, finora, il proprio piacere.
Con le sue perversioni visive, uditive e narrative, questo film sembra essere stato creato per essere destinato ad una visione privata, il cui unico spettatore è il suo artefice.
La confezione del film, palesemente calcolata al millimetro, è algidamente perfetta, priva di qualsivoglia sbavatura formale, caratterizzata da una efficacissima fotografia, da una scenografia che ibrida gigantesche superfici polite con pesanti dettagli barocchi e, inutile ribadirlo, dalla “solita” attentissima commistione tra immagini e musica (ancora Cliff Martinez in cabina di pilotaggio, ma anche il brano di Sia sui titoli di coda, Waving Goodbye, è particolarmente potente).
La sua freddezza, però, domina a tal punto la mise-en-scène da disorientare lo spettatore: Refn sembra dimenticarsi del pubblico, perso nella giungla delle proprie suggestioni, per prenderlo improvvisamente alla giugulare ad un quarto dalla fine, quando lascia che l’erotismo latente nel resto della pellicola prenda il sopravvento durante una sequenza particolarmente disturbante che segna definitivamente la cifra narrativa del film: Refn ha realizzato un film pienamente horror, non certo per via dei suoi truculenti elementi di genere, ma perché parla apertamente di sopraffazione e cannibalismo. Non a caso, con le sue numerose citazioni (Bava e Argento su tutti), Refn ha fatto a brandelli, fagocitato, decostruito e ricomposto la lezione dei classici (anche dal punto di vista narrativo: la storia è abbastanza banale, ma la confezione tempestata di lustrini la trasforma in ben altro).

Meno immediato che in altre occasioni (Drive e Bronson, per esempio), Refn rischia grosso, con questo film, e lo “scandalo” gridato a Cannes lo dimostra.
The Neon Demon è una pellicola da metabolizzare con lentezza, perché stordisce, letteralmente, e lascia interdetto lo spettatore, incerto se farsi ammaliare totalmente da un film che non sa se definire bello e pericoloso come un fiore tropicale o se criticarlo in quanto puro esercizio edonistico.

8 commenti

  1. inchiostro nero / 29 Settembre 2016

    ”questo film sembra essere stato creato per essere destinato ad una visione privata, il cui unico spettatore è il suo artefice”. Concordo pienamente. Recensione stupenda.

  2. rust cohle / 2 Dicembre 2019

    Sono esattamente rimasto interdetto, infatti non so neanche dare un voto.
    Hai fatto una descrizione perfetta di quello che è questo film, hai trovato le parole che non sarei mai riuscito a scrivere. La tua recensione migliore.
    Chapeau.

  3. alex10 / 12 Maggio 2020

    @stefania Un punto debole, dal mio punto di vista, sono le attrici. Per la maggior parte “bambole” di Refn che hanno seguito perfettamente quello che voleva il regista. Cioè essere immagini più che personaggi, strumenti più che interpreti. Ma almeno nelle poche scene di narrazione semplice, peripezie e dialoghi mi sarei aspettato una recitazione migliore; pur restando “vittime” del totale controllo del regista sull’opera, cosa anche giusta che però le giustifica fino ad un certo punto. I rischi che si è preso Refn sono tanti, come hai detto, ma se ha scioccato così tanto un motivo c’è. Per me ha puntato sulla bellezza tecnica anche per poter enfatizzare ancora di più le scene orripilanti. Contrapposizione voluta, per descrivere artisticamente il mondo che il regista critica e ciò che di crudele e brutto può esserci dietro il concetto di “bellezza”. Il mio voto è positivo, il film mi ha toccato.

    • Stefania / 13 Maggio 2020

      @alex10: credo che anche la scarsa incisività degli interpreti (in particolare, quelli femminili) sia funzionale alla storia. Cioè, devono sembrare delle bambole. Un po’, perché il film, nel complesso, è una casa di bambole con cui Refn gioca (sai che ama davvero giocare con le Barbie? All’epoca delle riprese di The Neon Demon, la figlia era ancora piccola e si divertiva con le sue, lo dice qui: https://www.nientepopcorn.it/notizie/interviste/incontro-nicolas-winding-refn-the-neon-demon-storytellers-39691/), un po’ per via del mondo in cui è ambientata la vicenda (le modelle sono intese come bambole da trasformare radicalmente a ogni sfilata, ecc.).
      E, poi, ovviamente, c’è anche quello che dici tu: la bellezza perfetta contrapposta alla violenza. Secondo me, è per questo che la Fanning è perfetta: ti aspetteresti mai certe cose da lei? Quindi, resti spiazzato.

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