Recensione su Tu chiamami Peter

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24 Agosto 2011

L’ironicamente drammatica vita di un attore vittima dei suoi personaggi. Ciò che Stephen Hopkins (“Spiriti nelle tenebre”) porta sullo schermo è la personalità sfaccettata di un attore che ha progressivamente eliminato se stesso per creare di volta in volta i personaggi che l’hanno reso famoso. Un contenitore ricco, variopinto, multiforme, un comico dall’animo distrutto, un eterno bambino, crudele e infantile, insicuro e fragile. Anche mammone, dato che la madre, una donna forte ed autoritaria l’ha sempre trattato come un ragazzino, anche a 40 anni.
Un padre detestabile e un marito infedele.
Ne viene fuori un uomo di merda, ma anche un grandissimo attore, che ha ottenuto una nomination all’oscar con l’unico ruolo che lo vedeva nei panni di sè stesso, un uomo senza una personalità definita, indifferente e bambino.
Geoffrey Rush offre un’altra prova della sua grandezza di attore.
Bello anche il particolare della sceneggiatura che prevede la reinterpretazione di alcuni personaggi vicini a Sellers (la madre, il padre, la moglie) filtrati attraverso la sua personalità, come se fossero i personaggi che ha portato sulle schermo per tutta una vita.

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