Ho sempre avuto l’impressione che a Peter Sellers mancasse qualche venerdì e, se questo film è davvero aderente alla realtà, tale impressione ha ricevuto inopinabili conferme.
Questa pellicola di Hopkins non mi è dispiaciuta, ma non mi ha comunque soddisfatta completamente: in particolare, ho trovato la prima parte del racconto sfilacciata ed episodica (ma comprendo che i biopic siano sempre abbastanza complicati da gestire in termini narrativi).
La seconda metà abbondante del film mi è piaciuta di più: lo straniamento di Sellers sembra, paradossalmente, più comprensibile (per quanto simili problemi possano essere comprensibili) e lo spettatore può “apprezzare” meglio la sua disfasia caratteriale.
Curioso, ma per i miei gusti troppo didascalico, il fatto che alcuni personaggi-chiave del racconto, prima di uscire di scena, vengano impersonati da Rush-Sellers: all’inizio, è un bel gioco (si riallaccia anche all’incapacità di Sellers di costruirsi una propria personalità fuori dal set), ma ripetuto, dopo un po’, è diventato troppo prevedibile e quasi superfluo.
Il parallelismo con Oltre il giardino impreziosice il finale.
Ottima prova di Geoffrey Rush: in alcuni fotogrammi, nei campi lunghi, per qualche istante, somiglia davvero molto a Sellers, di cui ha colto molto bene la fisicità.
Tucci nei panni di Kubrick e Lithgow in quelli di Edwards hanno svolto il compitino assegnato loro, la Theron è una bellezza quasi di passaggio (dieci, quindici battute, se va bene), sempre fragile ma intensa Emily Watson.
Colonna sonora ricca , con doppietta di Tom Jones e una bella chiusura coi Kinks.
Doppiaggio italiano da dimenticare! Stavolta, Pino Insegno (Rush) ci sta come i cavoli a merenda. E taccio della doppiatrice (?) di colei che interpreta Sophia Loren.
Nota: mi sono domandata come mai nel film non sia presente neppure un accenno (ma potrei sbagliarmi) a Hollywood Party.
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