Recensione su Il re dei giardini di Marvin

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La fine del sogno americano, again / 18 Marzo 2016 in Il re dei giardini di Marvin

Nell’edizione originale del Monopoly, quello americano, gli indirizzi delle varie caselle sono tratti da località di Atlantic City. Una di tali caselle (una di quelle gialle) è proprio Marvin Gardens, che nella realtà si chiama Marven Gardens (l’indicazione Marvin non può dunque che far riferimento al gioco di società).
Proprio la città del New Jersey è sede e protagonista di questo film drammatico dei primi anni Settanta, girato quando A.C. era in piena decadenza, pochi anni prima che lo Stato del Mid-Atlantic vi legalizzasse il gioco d’azzardo nell’effimero tentativo di trasformarla nella Las Vegas della east coast. Obiettivo mai raggiunto e al giorno d’oggi definitivamente tramontato con la nuova crisi che sta vivendo la città.
Il film è interessante innanzitutto proprio per questo suo ruolo documentaristico nei riguardi di Atlantic City, immortalata pochi anni prima della speculazione edilizia che da metà anni Settanta in avanti sconvolgerà la skyline del lungomare, con l’innalzamento di numerosi hotel e casinò. Solo il celebre Boardwalk, la lunghissima passerella che costeggia per chilometri l’oceano, rimarrà pressoché immutata.
Poco meno di un decennio dopo, Louis Malle, con il suo Atlantic City, USA, fornirà una sorta di stato avanzamento lavori, dipingendo la città costiera durante la febbre edilizia di fine anni Settanta, quando si diceva che A.C. fosse tornata nuovamente protagonista (Atlantic City you’re back on the map, again!).
Ma The King of Marvin Gardens non è ovviamente solo questo.
Due anni dopo l’interessantissimo Cinque pezzi facili, la coppia Bob Rafelson – Jack Nicholson riappare con una pellicola intimista e assai critica nei confronti del sogno americano.
Da una parte abbiamo due fratelli, estremamente diversi: Jason è l’affarista improvvisato che cerca una vita migliore con progetti difficilmente realizzabili; David rappresenta invece l’intellettuale che contro quel tipo di cose non può che nutrire sospetto e diffidenza.
I due personaggi femminili, matrigna e figliastra, che convivono con Jason, rappresentano invece, rispettivamente, la donna matura che inizia a fare i conti con l’età, subendo notevoli contraccolpi psicologici per il fatto di aver puntato tutto o quasi sull’apparenza, e la ragazza giovane che sulla bellezza ancora fonda le sue ambizioni (più che altro perché chi la circonda sembra lodarla solo per quello), sognando il titolo di Miss America, concorso di bellezza che si svolge proprio in quel di Atlantic City.
Tutti, in un modo o nell’altro, arriveranno a doversi confrontare con il proprio fallimento, tra situazioni inopportune (la figliastra di Sally che inizia a flirtare con il compagno di lei) e vere e proprie esplosioni di follia, che sfoceranno nella tragedia.
Il film, praticamente dimenticato al giorno d’oggi, fu all’epoca ben accolto dalla critica, soprattutto europea, e ci mostra un ottimo Jack Nicholson – nei primi anni di quella che sarà una carriera strepitosa – nel ruolo del loser (già interpretato in Easy Rider e, per l’appunto, in Five Easy Pieces), ossia uno dei temi clou di quello che sarà definito il Nuovo Cinema Americano.
Direttore della fotografia è il grande László Kovács, che aveva condiviso con Rafelson l’esperienza di Cinque pezzi facili e con Nicholson anche quella – più psichedelica – di Easy Rider.

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