Recensione su L'assassinio di un allibratore cinese

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Noir d’essai / 19 Aprile 2018 in L'assassinio di un allibratore cinese

Un po’ come accaduto a Paul T. Anderson con lo strano Vizio di forma, anche Cassavetes ha voluto mettersi in gioco con il noir metropolitano senza perdere il suo taglio tipicamente d’essai. Con un montaggio e delle inquadrature estremamente originali, il padre del cinema verità segue le peregrinazioni di Ben Gazzara tra il suo grottesco locale notturno e le perigliose strade della malavita, in cerca di un allibratore a Chinatown per pagare i suoi debiti da gioco. Come è intuibile, il maggior fascino non arriva dall’azione ma dalle sequenze più laterali e innecessarie: un guasto all’automobile sul ponte autostradale, una camminata lungo una stradina privata poco illuminata, le corse in bus e in taxi, le visite alle case delle sue protégée etc. Mi sembra che anche l’ultimo ottimo lavoro dei fratelli Safdie, Good Time, possa considerarsi debitore di questa atmosfera notturna. D’altro canto, trovo che il personaggio di Gazzara si possa essere pure ispirato al Gabin di French Can Can, con il suo tratto laconico e sempre molto composto in mezzo al bailamme del night club.

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