Recensione su The Imitation Game

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11 Gennaio 2015

I matematici ci hanno fatto vincere la guerra.
A beautiful mind di Ron Howard iniziava con questa breve ma autentica verità. La storia di John Nash (allora magistralmente interpretato da Russel Crowe) partiva là dove si chiude quella di Alan Turing, il brillante e controverso matematico che ha elaborato la macchina in grado di decifrare il codice Enigma, una delle trovate più ingegnose dei crittografi del terzo Reich.
Vedere ancora oggi uno di quei macchinari esposto nella bacheca di un museo e pensare che il destino di una nazione – anzi, per esteso il destino del mondo – è dipeso dall’ingegno e dalla genialità di chi ha saputo comprenderne il funzionamento fa un certo effetto.
Il film di Morten Tyldum scorre in maniera molto leggibile, dribblando le complicazioni che avrebbero potuto insorgere addentrandosi nelle matematiche spiegazioni di ciò che Turing e il suo team stavano cotruendo. Ha uno stile asciutto, che non cerca la retorica fine a se stessa ma punta l’obiettivo interamente su Turing e sul suo vissuto, sulle sue convinzioni e sulla sua quasi autistica difficoltà di comunicazione con il mondo, sulle sue insicurezze e sulle sue fragilità che fanno da contrappeso ad una volontà ferrea di costruire qualcosa di ben più complesso di un semplice computer.
Un pò come ne il discorso del re e in a beatuiful mind, a fare da fulcro di rotazione è la performance artistica di un magistrale Benedict Cumberbacht, capace di dare corpo alla dicotomia interiore di un genio fragile ma determinato, impersonando un uomo che sembra freddo come i computer che vorrebbe realizzare ma che si rivela più umano di tutti coloro che lo giudicano.
La guerra ha dato la possibilità a uomini come Turing (non senza difficoltà) di edificare le loro visioni ma la morale bigotta e l’orizzonte limitato della società hanno cancellato dalla memoria storica il loro lascito ed è proprio questo il secondo aspetto su cui punta la sceneggiatura, che alla fine ci rende un’idea piuttosto vera dell’uomo prima che del genio.

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