Recensione su Le idi di Marzo

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sarebbe sei e mezzo / 19 Dicembre 2011 in Le idi di Marzo

Seguire il comprimario, se sono più di uno è anche meglio. E questo film è un trionfo di comprimari superbi che recitano un copione oliatissimo.
Come perdere l’innocenza è un tema frequentissimo nelle produzioni Usa, forse perché credono comunque all’innocenza. Per questo un film del genere secondo me ci lascia freddi noi europei che siamo molto avezzi a cinismi più profondi. Quindi ammirata la prova attoriale, apprezzato il mestiere generale non resta poi molto. Clooney regista è bravo, competente, forse qui così misurato che certi simboli e certe scelte in quanto, appunto, misurate risultano forse retoriche e poco potenti dal punto di vista simbolico (per esempio i due spin doctor che parlottano dietro l’enorme bandiera americana). Se il protagonista deve credere alla causa e “sposa” gli ideali strepitosi del suo candidato (tutti i discorsi del governatore sono così meravigliosi, così progressisti, così straordinariamente utopici che sembra un sogno), certamente alla fine dovrà arrendersi al piccolo gioco della politica professionale che è puro mestiere, è avere un lavoro. Che in fondo il candidato non sia così adamantino è quasi ovvio, la sua colpa non è neppure così grave in fondo (noi abbiamo politici invischiati con la camorra, la mafia, appaltatori e speculatori sulla pelle della gente, insomma il puritanesimo tipico Usa del film ci solletica molto poco), è grave nel gioco dell’elezione e della campagna elettorale, è grave solo se contestualizzata lì in terra Americana.
Fra le pieghe si aggira il tema della realizzazione di quegli ideali, a qualsiasi costo, ossia se il fine possa giustificare i mezzi usati, se gli obiettivi che sono oggettivamente imbattibili (pace, ecologia, giustizia sociale) valgano il prezzo di debolezze, di piccoli tradimenti, di fiducie che scricchiolano e in fondo di un grande ricatto.
La politica è un gioco di scacchi, ossia un percorso verso il potere, lascia sul terreno pedine, deve scendere a compromessi. Ed è un gioco maschile.
Ci sono solo 3 donne nel film, la moglie con filo di perle che è madre, la stagista giovanissima, avvenente e ultima ruota del carro, la giornalista votata alla carriera che venderebbe l’anima per uno scoop e che si fa anche lei pedina. Tre donne aggirate, usate, mezzi nelle mani di un manipolo di uomini che non hanno nessuna relazione con loro (la scena più bella è infatti quella del sesso fra il protagonista e la stagista in cui lui è totalmente preso, in tutti i sensi, dal discorso sparato ad alto volume del suo candidato, quello sì sommamente eccitante).

Un filo di delusione quindi, un prodotto buono sì, ma che non ha nessun picco reale.

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