“Sai come chiamano gli Hunger Games in Giappone? Battle Royale con formaggio…” / 15 Dicembre 2013 in Hunger Games
Faccio la mia solita doverosa premessa del caso: non ho letto i romanzi di Suzane Collins, quindi, oltre al fatto che questo è il mio primo approccio a quest’opera, il mio giudizio è da intendere strettamente legato alla pellicola.
Conosco l’opera Battle Royale (precisamente ho letto quei quindici volumetti che compongono il fumetto) ed è stato inevitabile, una volta venuto a conoscenza della trama di questo film, di notare delle similitudini con l’opera di Koushun Takami. Similitudini che non sono state notate soltanto da me e che hanno suscitato un certo trambusto mediatico da parte dei fan dell’opera giapponese, con alcune critiche di plagio mosse nei confronti della Collins.
L’ironico titolo della mia recensione è tratto appunto da un simpatico photoshop trovato in giro per il web e generato proprio da quel trambusto mediatico già citato.
Dopo aver visto questo film posso dire, da estimatore del Battle Royale cartaceo, che le critiche mosse sono piuttosto esagerate. Certo, viene quasi naturale fare il confronto tra le due opere in questione (io stesso lo sto facendo adesso) ma, tolta la base, Hunger Games si discosta molto dal suo rivale nipponico.
Mentre l’opera di Koushun Takami sfrutta la violenza surreale per criticare una società marcia e a tratti malata nei confronti dei suoi cittadini, Hunger Games si concentra più su uno schema preciso, dove tutto è basato sullo spettacolo e sull’apparenza per il fine ultimo della sopravvivenza. Sin da subito infatti, viene fatto capire allo spettatore come il vero procedimento dei giochi, oltre a quello di uccidere barbaramente i partecipanti, sia proprio quello di attirare l’attenzione del pubblico, mettendo magari in secondo piano le caratteristiche più meritevoli. Non a caso i partecipanti sfrutteranno continuamente questa caratteristica quasi quanto le loro abilità in forza ed intelligenza per garantirsi una via d’uscita.
La struttura del regime totalitario che orchestra crudeli pratiche per tenere a bada il popolo ribelle non è sicuramente originale ma risulta comunque ben inserito e strutturato. Sull’aspetto del ritmo narrativo, vi è una sostanziale divisione. La prima parte del film, di doverosa introduzione allo spettatore è molto lenta, mentre la seconda, più incentrata sull’azione, scorre via facilmente.
Le caratterizzazioni dei personaggi sono invece poco soddisfacenti, fatta eccezione per i due protagonisti. Una menzione va però a Woody Harrelson, che nel suo piccolo ha regalato un discreto ruolo, riuscendo ad imporsi come componente comica della pellicola e distribuendo simpatici momenti di sdrammatizzazione.
In sintesi, Hunger Games non è sicuramente da buttar via. A suo modo è una pellicola valida, con le sue pecche. Ma se vogliamo andare oltre è tutto un altro discorso.

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