Recensione su Lo Hobbit - La desolazione di Smaug

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24 Dicembre 2013

Le vicende di un Hobbit, narrate da Tolkien tempo fa, vengono riassorbite e modificate da Peter Jackson, per la creazione di un fantasy le cui radici paiono trascurate, quindi appassite. Se l’immensa onestà intellettuale di Jackson si palesò nella trilogia del “Signore degli anelli”, dimostrando profonda umiltà nell’approccio al racconto epico e riproponendolo attraverso l’immenso lavoro che tutti conosciamo, ne “Lo Hobbit” il regista contraddice se stesso, improvvisandosi quello che non fu, cioè modellatore di idee, sviluppatore del pensiero tolkeniano. Da qui la decisione di prendere il volumetto discreto, narrante una storia altrettanto discreta, e vestirlo da kolossal, inventando collegamenti con la più nobile storia e traviandone completamente le ragioni. Il secondo dei film fino ad ora usciti portava con se le responsabilità che il primo capitolo non si era accollato, tra le quali una concreta caratterizzazione dei personaggi e una narrazione da consolidare. Un primo tempo voglioso, dai ritmi sostenuti e dalle trovate di sceneggiatura articolate e piacevoli (la vicenda di Beorn, dapprima temibile creatura, poi ospite impensato, con i nani che trovano rifugio nel paradosso della sua dimora, da lui stesso e dagli orchi) e dai toni quasi aulici, lasciava intravedere le potenzialità di un racconto stimolante.
Nel secondo tempo il messaggio diventa chiaro, e i timori realtà: Jackson si sostituisce a Tolkien, inventando presuntuosamente dinamiche impossibili da immaginare un secondo prima: la narrazione rimane compatta e scandita, ma il contenuto si fa posticcio e televisivo: personaggi inventati assumono ruoli di rilievo, ed ecco che Tauriel, azzeccata nella dolce fisionomia di Evangeline Lily e nelle spettacolari scene di azione elfiche delle quali non riusciremo mai a saziarci, inizia a caricarsi di troppi minuti, di presunti flirt interrazziali (scelta quantomai sacrilega) e diventa simbolo di una deriva che trova le sue cause in una sceneggiatura presuntuosa, invadente e veramente poco onesta: il film diventa operazione commerciale senza scrupoli. Così si sbiadiscono ruoli e concetti, svilendo il luogo di appartenenza delle diverse razze, la cui misticità e misteriosità si mostrava nella capacità di proporre il personaggio, e nei limiti definiti di tradizioni osannate, in contrasto a peculiarità del tutto inventate che si appiattiscono in tratti comuni, facendo risultare ogni razza molto più simile agli umani.
Se ci distacchiamo dalla presenza dello scrittore (operazione quantomeno discutibile) si intuiscono comunque l’immensa capacità registica palesata nelle sequenze d’azione dove la padronanza dell’inquadratura non è solo consapevole, ma completamente amalgamata al divertimento dell’immagine, nei mirabolanti salti e capriole, parte integrante di coreografie esaltanti e virtuose. Le scenografie da antologia dettano spazi alla bella fotografia, impreziositi dalla sempre azzeccata colonna sonora. Smaugh è la potente conferma di un attore (Benedict Cumberbatch) e della capacità sia tecnica che immaginifica dei professionisti degli effetti speciali.

2 commenti

  1. fabri830 / 27 Dicembre 2013

    @joel a me il film è piaciuto… però questa recensione è da applausi, complimenti

  2. Joel / 28 Dicembre 2013

    Grazie mille @fabri830, è di immenso piacere per me ricevere questo complimento, non è da molti.

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