23 Giugno 2014
Ispirato alle opere di Stefan Zweig, e al suo imperituro pacifismo ( tangibile nell’edulcorata fisionomia del film ), Grand Budapest Hotel, figlio del genio e dell’estetica raffinata di Wes Anderson, apre le porte alla fantasia e all’immaginazione, lasciando che queste leggano con piglio meno amaro, anche quelle avvilenti realtà che popolano l’esistenza. E di conseguenza la pellicola assume i caratteri di un lessico essenziale, ma al contempo articolato, che non ha bisogno di fondamentali parole per raggiungere un significato. Né ne contempla uno. Difatti non vi è sfumatura, non vi è chiaroscuro. Solo una vivace spaccatura fra modernità e rimpianto.
Recensione da Oscar
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