Recensione su Il braccio violento della legge

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Il poliziesco per antonomasia / 7 Marzo 2016 in Il braccio violento della legge

Insieme al primo Callaghan, The French Connection è il film che ha rivoluzionato il poliziesco a stelle e strisce all’inizio degli anni Settanta, sull’onda delle innovazioni portate dal cosiddetto Nuovo Cinema Americano.
In particolar modo, il film di Friedkin recepisce nel genere le novità stilistiche e contenutistiche (con riferimento alla rappresentazione cruda e verosimile della violenza) di due degli archetipi della New Hollywood: il Gangster Story (Bonnie and Clyde) di Arthur Penn e Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah.
Il tutto viene trasposto in ambiente urbano, una New York fotografata in toni opachi.
Friedkin abusa del teleobiettivo e dello zoom, restituendo un forte realismo alle scene d’azione e un tocco di anonimato alle sequenze metropolitane, dando il là a quello che verrà definito il realismo urbano.
Le riprese esterne vengono spesso effettuate da lontano, come a voler spiare gli interpreti. Automezzi sfocati passano continuamente davanti all’obiettivo.
Quando si ricorre alla profondità di campo è soltanto per svelare pedinamenti e appostamenti, anche se spesso si tratta di violente e veloci zoomate rivelatrici, con improvvisa variazione della messa a fuoco.
È un modo completamente diverso di fare cinema, eppure così realistico.
Friedkin sembra volersi riconciliare con il cinema classico con la doppia citazione di Ėjzenštejn (le due madri con carrozzina: la prima colpita dal cecchino e la seconda quasi investita dall’auto guidata a folle velocità da Doyle).
Grande successo di pubblico e tanti riconoscimenti (5 oscar, tutti di peso) per una pellicola che è troppo spesso ricordata soltanto per la celeberrima scena dell’inseguimento tra auto e metropolitana. Una sequenza frenetica, arrembante, tutta adrenalina, realistica perché reale (pare che uno degli incidenti sia stato tutt’altro che una messinscena), che si chiude con un capolavoro di inventiva registica: lo scontro tra la metro in corsa e il vagone fermo è ottenuto con l’onnipresente zoom, mentre l’impatto all’interno dei vagoni è reso semplicemente mediante movimenti improvvisi della macchina da presa.
La sceneggiatura, tratta da un’opera letteraria a sua volta ispirata da un reale fatto di cronaca, fila esattamente come quel convoglio per le due ore scarse di durata (altro meritato oscar).
Ma ciò che più colpisce è la caratterizzazione mai così ambigua dei personaggi, di buoni e cattivi le cui sfumature caratteriali sembrano costantemente amalgamarsi.

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