Recensione su Un sogno chiamato Florida

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Un sogno chiamato Florida
Regia:

400 colpi a tinte fluo / 24 Aprile 2019 in Un sogno chiamato Florida

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Jean-Luc Godard una volta definì il capolavoro di Truffaut come “il film più libero del mondo”; forse nessun’altro come il cineasta parigino è mai riuscito a sublimare la poesia e la tribolata bellezza di quella breve ma intensa fase che segna il passaggio dall’infanzia agli albori adolescenziali. Il newyorchese Sean Baker mezzo secolo più tardi riesce (quantomeno a livello concettuale) nella titanica impresa di emulare quel Truffaut manifestamente preso a modello.
I tempi sono cambiati, i bambini di oggi crescono più in fretta, specie nelle periferie; Baker documenta gli ultimi sussulti di un’innocenza destinata a dissolversi ponendo letteralmente la macchina da presa all’altezza dei suoi giovanissimi protagonisti, seguendoli nelle scorribande delle torride giornate estive, in un degradato quanto coloratissimo sobborgo di Orlando, a due passi dal sogno materializzato per antonomasia, quel Disney World così vicino eppure così lontano.
The Florida project è un film di contrasti, di facciate fluo e castelli-motel che nascondono al loro interno storie di profondo disagio e squallore, di sofferenza e umiliazione quotidiana filtrata dalla lente incantata dell’occhio di una bambina che ignora ancora la brutalità del mondo che la circonda; un inno all’infanzia intriso di una vibrante e anarchica carica vitale, ma anche l’ennesima storia sulle contraddizioni del sogno americano.
Come nella tradizione del miglior cinema neorealista la denuncia sociale è presente ma velata, la vicenda è trattata con toni iperrealistici ma con piccole concessioni fiabesche; con l’estate è destinato a finire il sogno della magica infanzia, e come il giovane Antoine correva verso il suo mare, alla piccola Moonee, nella splendida e onirica sequenza finale, è concessa un’ultima corsa verso il castello dei sogni, una gioiosa marcia funebre per dire addio ad un’infanzia andata via troppo presto.

4 commenti

  1. Stefania / 25 Aprile 2019

    Che paragone coraggioso! 😀 Non fai altro che rinfocolare la mia curiosità nei confronti di questo film (ho visto che è disponibile su Sky: devo approfittarne 😉 ).

  2. marco b. / 26 Aprile 2019

    In effetti il paragone è piuttosto impegnativo, per qualcuno potrà anche essere azzardato, ma in ogni caso ti consiglio di non lasciartelo scappare 😉

  3. Stefania / 5 Maggio 2019

    Ho visto il film qualche giorno fa e mi è piaciuto molto! 🙂 La scena finale ricorda molto il film di Truffaut, ora comprendo di più i motivi del tuo accostamento, perciò ti confesso che mi aspettavo che Moonee, a un certo punto, avrebbe guardato in camera 😀 (qui, in realtà, lo sguardo si ribalta: pare che la scena sia stata girata di nascosto, usando uno smartphone. Quindi, boh, se vogliamo, non è Moonee/Antoine a dover sfondare la quarta parete: è già stata infranta, il mondo reale è già entrato nel doppio mondo di finzione – Disneyland/film).

  4. marco b. / 6 Maggio 2019

    Mi fa molto piacere che ti sia piaciuto, ma avevo pochi dubbi, il film merita davvero 😉

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