20 Dicembre 2012 in La folla

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Altro film da manuali di storia del cinema, qua siamo proprio alla fine dell’epoca del muto, nel 1928, l’anno in cui cominceranno ad uscire i primi film col sonoro. C’era una prof a fare la presentazione, una con la faccia molto da persona intelligente amica dei miei, i miei conoscono tutte persone con quella faccia lì, e che parlava assai bene. Ma pure troppo forse, perché ora non ricordo nulla di quel che ha detto.
Anyway, è la storia di John Sims, il classico Signor Rossi, che va a New York determinato a uscire dalla massa. Glielo diceva anche papà, lui sarà qualcuno! E disprezza e irride gli altri, i suoi colleghi di lavoro (famose le scene delle folle al lavoro) che non diventeranno mai nessuno. Ah-ah, losers. Poi trova Mery, se la sposa e hanno due figli. Ma lui promette e non mantiene, come Ambra, e questi avanzamenti in azienda non arrivano mai, e c’è una scena terribile in cui la bambina più piccina viene spiaccicata sotto una macchina davanti agli occhi dei genitori.
OMG, tracollo, lui quasi si suicida, con il bambino che lo tira per mano convincendolo a rinunciare (sì, certo, da dove credete che avesse preso la stessa scena in Ladri di biciclette? Da qui! – ci ha detto la prof), la moglie s’è rotta le balle e quasi lo lascia. Insomma che finisce finalmente per abbassare la cresta, accettare di essere uno della folla e accettare un lavoro squallido, l’uomo sandwich che attira gli sguardi giocolando con le palline, lo stesso che lui aveva deriso tanto all’inizio. Il che mi sembra molto bello perché so che quello potrei farlo anch’io. E il film si chiude con la famiglia (quel che resta) felice a teatro. La scena si allarga, a teatro in mezzo a migliaia di altre persone, uguali. Puntini tra la folla, ecco, che ridono all’unisono.
La morale è proprio quella ed è tristissima, la vita nelle metropoli trova un senso solo così, non c’è via di fuga e chi prova a star fuori dal giro finisce deriso ed emarginato. Perché non bisogna credere di poter diventare qualcuno. Altroché l’ottimismo di Holywood. Sto già intristendomi di nuovo già solo per averlo descritto :/ sob.

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