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Il ventre dell' architetto

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20 Novembre 2013 in Il ventre dell' architetto

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ritorna il britannico Greenaway, continua la visione grottesca (in misura minore rispetto a “Lo zoo di Venere”), continua lo stupore e la forza delle immagini. “The Belly of an Architect” in italiano “Il ventre dell’architetto” è un signor film, una piccola chicca che prende piede nella Città Eterna.
Il regista si focalizza su una parte della storia del nostro Paese, sugli spazi, l’ambiente costruito, l’architettura classica e non solo della Capitale.
Non solo storia ed architettura ma anche pensieri di un protagonista affascinato, riflessioni che esorcizzano le sue paure. I close-up sono davvero pochi, Greenaway predilige il campo medio e quello lungo inserendo da contorno la storia di una coppia che scoppia.
Proprio come ne “lo zoo di Venere” la trama ha un aspetto importante, si, ma secondario.
Ecco giungere in Italia un architetto americano, il suo scopo è organizzare una mostra al Vittoriano dedicata ad Etienne-Louis Boullée. Dedica mesi della propria esistenza al suo lavoro invece la moglie incinta lo vorrebbe accanto. Prima ho fatto riferimento all’esorcizzazione delle paure, il nostro protagonista soffre di un tumore alla zona addominale, sviluppando così un’ossessione per le statue tipiche dell’antichità classica. Il rapporto con la moglie peggiora giorno dopo giorno, l’aggressività e la preoccupazione crescono sempre di più e allora…

Il Ventre dell’architetto è una pellicola che mi ha affascinato. Oltre a sottolineare l’importanza, la ricchezza (culturale) del nostro Paese, lascia spazio a riflessioni sulla fugacità della vita, la piccolezza dell’uomo e l’imponenza dell’arte.
Alla fine della giostra il Pantheon è ancora in piedi mente l’essere umano si ammala della peste del XX secolo: il cancro.

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23 Gennaio 2013 in Il ventre dell' architetto

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Greenaway rulez, pur se ormai mi attendo dai suoi film degli orgasmi intellettual-visionari incomprensibili. Uno dei più semplici, da questo punto di vista, tutto concentrato com’è nella vivisezione di una Roma poco più che disabitata e delle sue architetture. Detto da uno che non c’è mai stato, non so come uno straniero potrebbe figurarsi Roma dopo aver visto il film. Roma vuota di persone vive e popolata di statue. Colonnati. Epoche artistiche a cavallo l’una dell’altra. Smbra non esistano stanze normali, a Roma si vive solo in ambienti barocchi e/o dagli alti soffitti affrescati. Persino la sauna.
L’architetto Kracklite (belin che nome figo) va in Italia con la moglie per curare una mostra (tra l’altro il tipo, il quale, ehi, è vero, ricorda non dico tanto ma abbastanza Orson Welles, c’era anche in Cocoon e, soprattutto, in Rambo, me lo ricordo benissimo).
Omo de panza omo de costanza, farà in tempo a prendersi un carcinoma (auguri), farsi fottere la moglie subito dopo averla messa incinta, farsi fottere la mostra che stava organizzando, suicidarsi dal Vittoriano etc. Ossessionato dalle pance, passa i giorni a scrivere lettere a architetti morti e fotografare busti e ventri di statue. E farne fotocopie su fotocopie. Incrociando personaggi strippati quanto lui; un tipo che gira la città con uno scalpello per staccare i nasi a tutti i busti che incontra, e via dicendo.
Ventri di pietra di statue di pietra, con vita eterna. Ventre della moglie con seme di vita futura. E lui la disprezza e trascura. Ventre suo con cancro cromato di serie. Roma ombelico del mondo. E temo si potrebbe continuare. Perché sostanzialmente Greenaway è matto.
Ottima figura ci fanno gli italiani, che quando non vengono corrotti corrompono in prima persona (o comunque ti fottono la moglie). Ottima figura ci fa Kracklite, sbronzo in una vasca con una bottglia di Sambuca Molinari. Onore!

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14 Novembre 2011 in Il ventre dell' architetto

Un’opera artisticamente eccellente, stilisticamente elegante e di forte impatto visivo: penso di non aver mai visto una descrizione così sublime di Roma. La città eterna viene esaminata nei suoi dettagli architettonici dall’occhio raffinato di un regista spesso fuori dagli schemi (“Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante”), esaltata in ogni particolare storico dalla mano esperta di Greenway assume un fascino, se possibile, ancora maggiore di quello che già possiede.
Pasti luculliani all’ombra dei colonnati di marmo, banchetti serali di fronte al Pantheon, salotti borghesi in ampii patii al chiaro di luna, ogni sequenza (adeguatamente adornata da un ottimo sottofondo musicale) è una rivisitazione dei fast dell’antica Roma secondo i canoni stilistici più moderni di un artista colto e allo stesso tempo visionario, aggrappato alla storia e desideroso di ricreare una condizione artistica nuova.
La storia è una storia di ossessione, fallimento e decadenza e la chiave è la figura dell’architetto e del suo ventre, che trova in Brian Dennehy un interprete massicciamente calzante.
Uno splendido omaggio a Roma.

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