Recensione su Babadook

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The Babadook: l’Uomo Nero arriva dall’Australia. / 25 Novembre 2014 in Babadook

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

The Babadook, opera prima della regista australiana Jennifer Kent realizzata grazie ad un progetto di crowdfunding lanciato sulla piattaforma Kickstarter, è un interessante horror psicologico gravido di suggestioni che, però, traballa un po’ dopo aver messo in tavola le proprie carte, sfiorando pericolosamente la macchietta.

Il Badabook del titolo è un’entità oscura e oggettivamente malvagia che si palesa con tre sinistri tocchi, gli onomatopeici “dook, dook, dook”, da intendersi anche come singhiozzi di terrore costipati, che sono parte del suo nome.
Se Tim Burton, con Beetlejuice, ha rielaborato con ironia nera la leggenda di Bloody Mary, la Kent lascia inalterata la vena demoniaca della chiamata oscura, affidando la possessione della casa e del corpo ad un’indefinita creatura antropomorfa, vestita come un becchino vittoriano, di cui si intuiscono efficacemente a tratti gli attributi infernali, a partire dalle lunghe unghie à la Nosferatu, fino alle ali nere.

La metafora dell’alienazione mentale rappresentata come infestazione di una casa è elementare ma riuscita proprio nella sua semplicità. Ciò che mi pare inedito in questa storia è il fatto che, elaborata la causa del malessere e stabilito che esso sia inestirpabile (il dolore per un lutto può essere elaborato, ma non cancellato), si scelga di scendere a patti con lui.
L’accettazione del Male, definibile sia come malattia mentale che come entità, può essere inteso allo stesso tempo come elemento salvifico che, all’opposto, come ingrediente di una inimmaginabile condanna eterna.
Credo che questa ingenua ambiguità del racconto, che gioca spesso con il registro infantile, sia, a conti fatti, il suo punto di forza.

Per raggiungere tale esito narrativo, il film della Kent ripropone con garbo ma in maniera un po’ didascalica cliché orrorifici noti: il disfacimento del corpo posseduto, il mostro che giunge di notte quando il sonno sta per sopraggiungere, l’incapacità di discernere tra sogno e realtà, la sovrapposizione psicanalitica tra odio e amore filiale, la solitudine come veicolo del disagio.

Interessante la livida fotografia, efficaci le musiche, molto buona ma non sfruttata fino in fondo la scenografia domestica che aspira a trasformare, senza ahimé riuscirvi appieno, quella che potrebbe essere una vetusta ma graziosa casa di bambole in una magione da incubo.

Nel complesso, The Babadook è un sufficiente film d’atmosfera che lascia qualche strascico disturbante nella memoria.

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