Recensione su L'atto di uccidere

/ 20138.138 voti

27 Novembre 2013

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Documentario atipico, ed assurdo abbastanza, sulla banalità del male. Una lode al cinema dove l’ho visto sottotitolato, che non ha messo i sottotitoli per i primi 7 minuti (cioè fino a quando non sono andato a dirglielo), quelli in cui si spiegava il contesto e di cosa si stava parlando. Poi ho recuperato i miei 7 minuti, però fuck.
Il regista, presente nelle inquadrature, intervista Anwar ed Herman, più altri amici loro ma soprattutto loro, che gli raccontano dei bei tempi in cui massacravano i comunisti, dopo il colpo di stato in Indonesia del ‘65. Ci si divertiva, si usava il filo di ferro per ucciderne tanti e non sporcare di sangue il pavimento. Loro tranquilli, fanno vedere come, convinti di stare fornendo materiale per un film che mostri ai giovani la storia. Dicono che loro erano, e sono gangster, che tradotto significa “uomini liberi” (chissà poi perché). Addirittura passano a mettere in scena, loro stessi, alcune scene, di massacro, tortura, impersonando aguzzini e vittime. Talmente è grande lo scarto di senso, talmente assurda la tranquillità con cui questi simpatici pensionati raccontano vicende terribili, e li vedi, tranquilli in una società che li stima, che quasi è difficile credere a quel che si sta vedendo. Perché la società indonesiana mostrata non ha mai lavato i panni, impiccato i cattivi a testa in giù, e son tutti ancora lì, e c’è una forza paramilitare che si chiama Pancasila e fa quel che gli pare e son fasci da far paura e tutto per loro è normale O_O Anwar ed Herman, il secondo un simpatico cicciozzo che prova pure a farsi eleggere in parlamento, per avere i soldi che vengono dal potere, ti dice tranzollo, sono senza filtro, e solo verso il finale Anwar, cui tocca il ruolo del torturato, riesce ad avere un barlume di coscienza di quel che ha fatto.

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