Recensione su Terminator

/ 19847.3471 voti

Terminator / 17 Luglio 2015 in Terminator

In teoria direi che si deve aver vissuto sotto un sasso per non conoscerlo, ma ormai credo basti non avere genitori amanti della fantascienza o del cinema.
Quindi, trama: nell’anno 2029 la guerra tra le macchine, guidate da Skynet, e gli umani, guidati da John Connor, è giunta alla fine. In un disperato tentativo di ribaltarne gli esiti Skynet invia un Terminator (cyborg di altissimo livello) nel passato per uccidere Sarah Connor – madre di John – prima che lo metta al mondo. Gli umani, scoperto il piano, mandano indietro il soldato Kyle Reese per proteggerla.

È difficile fare una recensione di un film che ormai è iconico nella storia del cinema, che ha inventato uno di quei temi musicali riconoscibili e che, incidentalmente, è uno dei miei film preferiti. È difficile restare obbiettivi.
Facciamo un po’ di storia: siamo nel 1984, alla regia c’è James Cameron, per la seconda volta dietro la macchina da presa (esperienza precedende: il seguito di Pirana, un film horror che era di serie b anche negli anni ’80), per la prima volta con un soggetto suo. In sostanza, l’esordio di un grande: girato con due lire (e con due lire intendo che è costato più o meno quanto il catering di Terminator 2), l’attore di punta è un Arnold Schwarzenegger fresco di Conan, che chiama pubblico ma non è così famoso da fare lo schizzinoso e/o chiedere una baracca di soldi. In effetti siccome è l’attore di punta la produzione lo vorrebbe nei panni di Reese, ma l’idea non piace né a Cameron né a lui.
Ci sono aneddoti esilaranti, come l’ultima scena girata in post produzione con la segretaria bionda (Linda Hamilton non poteva), il cane della zia e il figlio adolescente di non ricordo chi a fare manovalanza. E il poliziotto che gli ha chiesto se avevano i permessi per girare in strada, e siccome non li avevano si sono inventati che era un progetto scolastico del ragazzino e se per cortesia poteva chiudere un occhio, grazie, gentilissimo.
È uno di quei film che quando vedi i contenuti speciali capisci la passione per il cinema, l’inventiva che non avere mezzi può tirare fuori dalle persone, come il talento sia qualcosa che si percepisce.

Mi sono chiesta spesso cosa renda Terminator un film così riuscito: la trama è semplice, soprattutto oggi che i viaggi nel tempo non sono più una tema mai narrato prima.
Ci sono un sacco di cose che funzionano alla grande. Partiamo dal ritmo: è serratissimo, nel momento in cui Sarah viene raggiunta da Reese e dal Terminator inizia una fuga continua. Non c’è un’attimo di respiro perchè ad ogni pausa segue la perdita del vantaggio sul nemico, un vantaggio che è solo ed unicamente lo spazio che i due riescono a mettere tra loro e il cyborg.
Sarah e Reese non possono fermarsi, devono costantemente scappare perchè sono di fronte a qualcosa che può solo essere rallentata. Il costante pericolo si riflette nel loro rapporto, che procede al contrario: prima c’è la fiducia, poi l’amicizia. I momenti di intimità, le confidenze… sono successivi all’aver messo la propria vita nelle mani dell’altro: ci deve essere fiducia totale e completa immediatamente, e tutto quello che generalmente porta a tale fiducia è da scoprire in seguito.
Vieni con me se vuoi vivere è la prima cosa che Reese dice a Sarah, e riassume perfettamente il loro rapporto.
Sottile è la caratterizzazione di Sarah: una ragazza come tutte le altre. Cameriera in un fast food, divide l’appartamento con un’amica, ha un’iguana e uno zainetto rosa per andare al lavoro. E scopre di essere la chiave per la salvezza del genere umano: Sarah Connor, il mito, la madre eroica che crescerà il figlio in modo che possa guidare l’umanità nella guerra contro le macchine.
Inizialmente è sconvolta ed inutile, un pacco che Reese si porta appresso. Ma più si va avanti più la si vede emergere. Un paio di iniziative, in situazioni dove fare esattamente quello che le dicono sarebbe la cosa più sensata. Vuole distruggere il Terminator e non fuggire in eterno. Alla fine sono lei e il Terminator, e lei ha un’espressione di odio, di rabbia, di sfida e non di paura. E allora lo vedi che questa ragazza ha una tempra d’acciao, ed è credibile che possa rendere John Connor quello che sarà.
E c’è Reese, perfetto opposto del Terminator: un personaggio con una tristezza di fondo notevole, con una determinazione pari a quella del nemico ma che nasce dalla sua umanità. Fuori posto nel presente, che per lui è un passato destinato a sparire, l’action hero spaventato come la damigella da salvare. Non è il classico protagonista d’azione, in lui c’è una sensibilità di fondo che lo rende accessibile come Sarah, anche se viene da un futuro apocalittico.
Suoi sono i flashback/flashforward del film, una guerra continua dove non c’è speranza anche se sai che gli uomini hanno vinto.

Ma il punto forte del film è il Terminator: non c’è niente da fare, Schwarzenegger ruba la scena a tutti in un film dove pronuncia 17 battute. La sua è una recitazione prettamente fisica, e non nel senso “È Schwarzenegger, basta che sia lì e fa paura”: riesce a sembrare non umano.
O meglio, riesce a sembrare qualcosa che sembra umano senza esserlo. Il modo in cui si muove, in cui guarda (Schwarzenegger ha detto di essersi ispirato alle telecamere di sicurezza), il modo in cui non cambia mai espressione o tono…
Il Terminator è inarrestabile: è così minaccioso perchè tu, spettatore, sai perfettamente che non si arrenderà mai, che andrà avanti sempre e comunque, che se raggiungerà i protagonisti questi non potranno parlargli, non potranno cercare di convincerlo, rallentarlo a parole. Non ha freni inibitori: nascondersi alla luce vuol solo dire che ucciderà tutti quelli che ti stanno intorno. Non prova dolore, non può morire e non può fermarsi.

Poi c’è anche quell’atmosfera cupa, di sconfitta, perchè anche se Sarah sopravvive il genere umano sta procedendo spedito verso l’olocausto nucleare, una tragedia creata dagli umani stessi con la loro frenesia di costruire senza mai fermarsi a riflettere sulle conseguenze, se c’è un limite da non superare.

Un film perfetto? No, perchè non esistono film perfetti. Ma è un film che riesce a mascherare le proprie pecche: è oggettivo che Sarah e Kyle abbiano pochissimo tempo per legare, ma l’interpretazione umana e sofferta di Linda Hamilton e Michael Biehn bilancia la cosa, per fare un’esempio.
Poi ci sono le cose invecchiate male, come i capelli di Sarah.
La moda anni ’80 non perdona.
Gli effetti speciali si difendono bene per la maggior parte del tempo, a parte quanto il Terminator si aggiusta l’occhio e la testa è palesemente un modellino (da un lato non fa schifo perchè è ovvio che non è vera, dall’altro fa paura perchè sembra l’anticristo… e da un’altro ancora fa ridere).
Ci sono opinioni contrastanti sul Terminator in stop motion: a me non dispiace, ma è anche vero che è molto poco minaccioso. E lentissimo.

Insomma, come si sarà capito io questo film lo amo e lo consiglio. È uno di quelli che ho guardato per l’azione, ma mi ha incollata (e fatto tornare) per il cuore.

Lascia un commento