Recensione su Bersagli

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Che esordio per Bogdanovich! / 2 Novembre 2016 in Bersagli

Targets è il primo film di Peter Bogdanovich, se si eccettua l’imbarazzante Voyage to the Planet of Prehistoric Women, un b-movie prodotto da Roger Corman degno di competere con i film di Ed Wood (ed infatti firmato dal regista di origini serbe dietro lo pseudonimo di Derek Thomas).
Proprio nella scuola di Corman si era formato Bogdanovich (insieme a Francis Ford Coppola e a Martin Scorsese), che con Bersagli finalmente si emancipa per dare il suo personale contributo alla nascita di quella corrente cinematografica che è la New Hollywood.
Di questo movimento di rinnovamento del cinema americano Bogdanovich sarà un personaggio di primo piano, nonché il guru del filone nostalgico, un elemento che già comincia ad intravedersi in questo film nell’omaggio che il regista fa al genere horror (dunque anche a Corman) e ad uno dei suoi più importanti esponenti, quel Boris Karloff passato alla storia per l’interpretazione del ruolo di Frankenstein nell’omonimo film del 1931.
Karloff è Byron Orlok, l’alter ego di se stesso (in uno dei tanti riferimenti metacinematografici di Bogdanovich); una star di Hollywood a fine carriera che decide di ritirarsi dalle scene nonostante riesca ancora a vivere di rendita con qualche b-movie.
Un regista (interpretato dallo stesso Bogdanovich) arriva addirittura a scrivere una sceneggiatura appositamente per lui, ma Orlok non ne vuole sapere e conferma la sua decisione di auto-pensionarsi.
Prima di ciò deve comparire per contratto alla proiezione del suo ultimo film in un drive-in, il luogo in cui si consuma uno dei misfatti commessi da Bobby Thompson, un apparentemente tranquillo assicuratore che, dopo aver sparato alla moglie e alla madre in un momento di lucida alienazione, ha messo in atto un folle piano omicida, sparando casualmente ai passanti appostato come un cecchino.

Con questo soggetto, ideato dallo stesso Bogdanovich e dalla sua compagna di allora Polly Platt, il regista voleva mettere in scena il contrasto tra realtà e finzione, tra l’horror della settima arte e l’orrore della vita reale, il dramma di una società i cui quotidiani episodi di violenza avevano preso il posto delle rappresentazioni artistiche nello scatenamento delle paure.
La storia è infatti ispirata ad un episodio realmente accaduto, la strage commessa ad Austin da Charles Whitman (quello che viene citato in Full Metal Jacket dal sergente maggiore Hartman quale esempio di impeccabile tiratore addestrato dal beneamato corpo dei Marines).
Ma ovviamente sulla vicenda pesa anche inesorabilmente la memoria dei fatti di Dallas, ancora freschi nella memoria degli americani.
L’omicidio di Kennedy rappresenta, insieme alla disgraziata guerra del Vietnam, l’episodio emblematico della perdita dell’innocenza degli anni Sessanta, del passaggio dalla generazione Happy Days a quella della protesta e della contestazione.
Un disincanto che viene fatto proprio dalla pellicola d’esordio di Bogdanovich, regista forse poco conosciuto al grande pubblico, ma di grande interesse per i cinefili.

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