Recensione su L'uomo d'acciaio

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Più uomo che Dio / 29 Ottobre 2013 in L'uomo d'acciaio

L’uomo d’acciaio è il titolo dell’ultimo adattamento cinematografico ispirato al supereroe più famoso dell’universo dei fumetti, ossia Superman.
L’imponenza dell’aggettivo usato per descrivere l’eroe, invece di tradursi nella normale accezione del termine, e quindi in un connubio di energia e potenza, nella pellicola assume un significato meno generico, ossia improntato più sulla forza interiore che su quella esteriore.
Questa è una prassi che molti cineasti utilizzano per rendere l’eroe più umano, in modo che lo spettatore possa provare empatia nei confronti di colui che invece si erge dalla condizione di semplice essere umano, per elevarsi a qualcosa di più.
In questo Snyder ci riesce, creando non un Clark Kent isolato, ma un Superman solitario. Il suo alter-ego, che nella maggior parte dei film precedenti rappresentava l’unico mezzo in grado di ricongiungere il dio all’uomo, ma che allo stesso tempo lo allontanava dalle persone che amava, è ora per lui l’unica fonte di protezione, in quanto la verità sulle proprie origini lo porterebbe a isolarsi ulteriormente, lasciandolo in preda alle proprie paure.
Ovviamente il film cambia a seconda dello spettatore. Vi è l’appassionato, che può storcere il naso perché l’evoluzione del personaggio è differente da quella invece rappresentata nel fumetto. Chi cerca solo un passatempo e invece si trova davanti una storia più articolata; ma nel complesso tutta l’attenzione è rivolta all’uomo e non al supereroe.

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