Recensione su Sully

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Alla fine muoiono tutti. Di vecchiaia / 1 Gennaio 2017 in Sully

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Boom per l’unico aereo che non esplode. Sì lo so ma tendo a non andare in vacanza, per cui queste cose posso dirle. Sully in principio dorme e sogna, l’America finita e ferita, il replay delle Twin Towers e la crisi lagentestammale. Ma è un sogno, si sveglia. Sully, nel gioco dei flash indietro e avanti, è il pilota che blabla è ammarato nello Hudson e bla, tutti salvi miracolo wtf unbelievable man you kiddin’ me. Questo signore sul far della sera, che è anche un po’ Tom Hanks, subito dopo il salvataggio è sotto inchiesta, insieme al suo co-pilota coi baffi (molto pubblicità del tonno) perché l’ente per il volo salcazzo mette in dubbio che abbia preso la decisione corretta. Per cui si trova nella situazione da cortocircuito di essere un mito per opinione pubblica e media, ospitate da David Letterman ecc, e al contempo sotto accusa, da parte delle autorità e di se stesso, col dubbio che rode, sarò riuscito a fare spikeleenianamente (lol) la cosa giusta? I giorni sono proprio a ridosso, per cui vive in una bolla di hotel a NY, udienze con chi lo giudica, e corsette di notte. Ogni tanto chiama la moglie, e lui le dice sìsì, stai calma, scusa (sembra un po’ Calcutta, così), ho da fare, se hanno ragione loro perderò la pensione – clic. Intanto c’è la tragedia sfiorata, che Eastwood propone volte e volte, dalle mille angolazioni blu bianche nere dei piloti nella cabina, dei passeggeri, delle hostess che urlano durante le procedure di emergenza. E insomma comunque a me gli aerei non hanno mai convinto, il fatto che se va male non ci sia nulla da fare mi da proprio fastidio. Infatti nessuno ci crede di essere ancora vivo, dopo esser planati sull’Hudson river lasciandosi dietro una linea retta di fumo, appoggiandosi sul fiume e poi andando lentamente a mollo, coi passeggeri pur’essi allineati in piedi sulle ali dell’aereo qui sombre, in attesa dei soccorsi. Perché l’episodio è agiografico (e sindeddotico, si dice?) non tanto di questo attempato e simpatico signore, che ha fatto il suo senza ma e senza se alla fin fine più correttamente di ogni simulatore, ma dei protagonisti della vicenda, dei soccorsi portati dalla meglio gioventù ammmerigana, della solidarietà, del passami una coperta, del dai che uniti ce la facciamo. E traslando evidentemente dell’intera nazione. Un grande paese, questo, diceva forse Cary Grant – no, ho controllato, c’era Gregory Peck. Sully alla fine è riabilitato, è il vero eroe americano moderno (dare del post moderno a Clint sarebbe eccessivo), uno che è solo ma non è solo, perché l’eroismo si fa insieme, e uno che simboleggia tutti, e il vero Sully nei titoli di coda ritrova i passeggeri che ha salvato. Ammazza quanta poca figa! No vabbè. E diventa un signore in pensione, onesto, capace, che ha scritto un libro e da cui nientemeno che Clint ha fatto un film.

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